Restringere in 106 minuti di film ben 1300 pagine di uno dei romanzi italiani più importanti e premiati, con lo Strega, degli ultimi anni. È questa la scommessa di Stefano Mordini che ha diretto, e scritto con Luca Infascelli e Massimo Gaudioso, La scuola cattolica, dall'omonimo libro di Edoardo Albinati, presentato fuori concorso alla 78a Mostra internazionale e in uscita nelle sale il 6 ottobre.
Ecco l'autobiografica mala educación dello scrittore romano che, tra personaggi veri e figure romanzate, riflette sul brodo di coltura e di cultura che ha prodotto uno dei crimini più efferati della cronaca nera italiana, il massacro del Circeo avvenuto in questi stessi giorni del settembre del 1975. Il suo punto di vista è presente nel film attraverso il suo stesso omonimo personaggio, interpretato da Emanuele Maria Di Stefano, e la sua insistente voce fuori campo che racconta il gruppo di studenti e amici di una scuola privata cattolica maschile del quartiere Trieste a Roma. Tra questi ci sono naturalmente Gianni Guido (Francesco Cavallo), Angelo Izzo (Luca Vergoni) e Andrea Ghira (Giulio Pranno) che saranno i protagonisti assoluti della parte finale del film con lo stupro, nella villa del Circeo della famiglia Ghira, delle due ragazze conosciute da poco, Rosaria Lopez (Federica Torchetti) e Donatella Colasanti (Benedetta Porcaroli), uccidendo la prima e lasciando viva, ma solo perché si finse morta, la seconda.
La riduzione della sceneggiatura fa però sì che si perdano quasi del tutto i connotati politici e camerateschi di questi giovani neofascisti, a contatto quotidiano con la violenza per via anche delle contrapposizioni ideologiche e fisiche degli anni di piombo, a favore di una lettura dei fatti che possa insegnare qualcosa ancora oggi magari sul tema del femminicidio. Il film circoscrive così la formazione del male assoluto all'educazione ricevuta nella scuola cattolica dove, dietro la facciata, c'è il lato b con cattivi maestri (Fabrizio Gifuni), sacerdoti che vanno a prostitute, piccoli geni e psicopatici. Ma anche le famiglie, ricchissime, non brillano certo per presenza, ecco le madri assenti interpretate da Valeria Golino, Jasmine Trinca e Valentina Cervi. Mentre i padri, se non usano i soldi per risolvere ogni cosa, prendono la cinghia, come fa Riccardo Scamarcio che interpreta Raffaele Guido, padre di Gianni. Ma la violenza genere altra violenza: «Nel film - racconta il regista - non c'è la droga anche se alcuni di questi ragazzi si muovono da drogati. Non c'è il fascismo anche se hanno le movenze da fascisti. Mi premeva di più sottolineare come questi maschi usino le donne come oggetto e come vivessero con un senso di impunità. Il film vuole ampliare il più possibile la responsabilità di quel che è successo, anche al di là di quella innegabile dei tre autori del delitto».
Certo, come scrive Albinati e come viene ripetuto sul grande schermo, «nascere maschio è una malattia incurabile» quindi tutto il film insegue questo teorema costruendo, su diversi piani temporali, il tempo dell'attesa del massacro del Circeo che, per modalità e ferocia, anche se conosciute, risulta sempre sconvolgente: «Ho cercato - spiega Stefano Mordini che in macchina verso la villa fa cantare i ragazzi sui versi del Battisti di «E se davvero tu vuoi vivere una vita luminosa e più fragrante» - di stare più vicino a loro che alla macchina da presa nel lungo piano sequenza che poi abbiamo montato della villa. Ma, devo ammettere, che non è stato né facile né istruttivo per me tutto questo. La mia speranza, ovviamente ingenua e impossibile, era che non dovesse succedere quello che è successo».
Tra la folta schiera di attori molto giovani, come non se ne vedevano da tempo insieme in un film italiano, c'è anche Benedetta Porcaroli nel ruolo particolarmente difficile di Donatella Colasanti ritrovata in fin di vita nel bagagliaio di una Fiat 127 bianca: «Io solo lontanamente potevo immaginare una tale violazione della mente e del corpo di una persona. Gli occhi spalancati del mio personaggio evidenziano una perdita di fiducia nell'essere umano».
Sarà poi nella realtà Donatella Colasanti, la cui voce vera ascoltiamo curiosamente nel corto di Chiara Valerio L'incanto, presentato sempre qui al Lido alla Settimana internazionale della critica, a condurre una battaglia per trasformare lo stupro, da reato contro la moralità e il buon costume a delitto contro la persona. Battaglia vinta nel 1996. Donatella morirà nel 2005, in tempo per vedere tornare in carcere il suo aguzzino Angelo Izzo che, in semilibertà, aveva ucciso altre due donne.
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