Una poetessa postuma, una poetessa che cela un mistero, una poetessa italiana che è necessario leggere, anche così: solo per essere migliori. Leggere la sua unica raccolta, appena pubblicata da Guanda con il titolo Respiri e Sospiri (pagg. 70, euro 14, tutti i diritti in beneficenza) ci porta in un mondo perduto, ingiuriato, dimenticato dall'umana presenza dell'oggi ma mai veramente sopito dentro ognuno di noi. Paola Cannas - nata a Viareggio (1928- 2013), vissuta tra Milano e Roma prima di stabilirsi a Firenze, più che una rivelazione è un dono.
Non è vero che la poesia non si legge più o non si vende: non si vende perché semplicemente i poeti sono scomparsi. Scomparsi dalla realtà, dall'essere (umani). Eppure- se ci pensate- la poesia è l'ultima frontiera anche del marketing: in un mondo editoriale che ha sfruttato quasi tutto - dai gialli ai libri di cucina alle autobiografie alla saggistica su ogni argomento (in)conoscibile- Paola Cannas può essere quello che sono Mark Strand negli Stati Uniti o Michel Houellebecq in Francia: conosciuti, soprattutto lo scrittore francese, come narratori, entrambi hanno contribuito ad ampliare i lettori della poesia contemporanea.
Cannas si confronta con il silenzio, ma è capace di raccontarci come in realtà siamo prigionieri della nostra trasparenza. Abbiamo perso ogni capacità di osservare e capire per guardare. Come quando scrive: «Tanto tempo/ che non vedevo/ le stelle. /Mi ero scordata/di essere niente./ Dio. Celava il Suo volto/ tra la nebbia delle ore». Sono i versi di chi vuole conoscere veramente se stessa perché forse è davvero solo questo il compito che ci è stato affidato come esseri umani: diventare «forte e compatta, come antica pietra,/ da intemperie dei secoli lambita,/ ferma, non scossa, / e non turbata,/ dal turbine che noi chiamiamo vita».
Perché tutti anche «I vivi ormai/ più non ti stanno accanto/e non ti fanno compagnia;/ invano cerchi di fermare/il loro sguardo su di te,/ stringere la loro mano nella tua» e, continua la poetessa, «I loro occhi volgono altrove,/ si chiudono le dita su stesse, la fretta allontana i loro passi».
E come si è scritto all'inizio c'è anche un mistero non rivelato nel libro, neanche tra le note biografiche: Paola Cannas è la madre di Marco Vichi, scrittore da oltre un milione e mezzo di copie tradotte in dieci paesi del mondo. Marco Vichi ci racconta: «Un giorno una signora di ottantaquattro anni, che già da molto tempo mi domandava senza troppa insistenza se volessi dare un'occhiata alle sue poesie, mi chiese con più convinzione di leggerne almeno una, così, solo per farle un favore, e se poi non mi fosse piaciuta non mi avrebbe mai più scocciato.
Lessi la prima poesia, e rimasi di sasso: era bellissima, semplice e profonda, e il ritmo delle parole dava forza ai significati e alle emozioni. Lessi le altre. Era il tipo di poesia che avrei sempre voluto scrivere, anzi che avevo provato a scrivere, con risultati pessimi. E adesso scoprivo che mia mamma non era solo mia mamma, ma era una poetessa».
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