Quando vide John Wayne seduto alla mensa della Warner, Mel Brooks gli si presentò subito. L'idea di affidargli il ruolo di Waco Kid in Mezzogiorno e mezzo di fuoco era molto più che una tentazione seducente. Lo sceriffo di Un dollaro d'onore si mostrò conciliante. Chiese la sceneggiatura. Promise di leggerla. E gli diede appuntamento allo stesso tavolo il giorno successivo. L'indomani lo guardò negli occhi e fu sincero. «È una delle cose più folli e divertenti che abbia mai letto ma non posso accettare. Troppo indecente. Il mio pubblico mi perdona tutto. Non questo».
Un due di picche gentile, forse atteso. Ritratto di un'epoca - era il '73 - in cui non si derogava allo stile. Tranne nella satira. E Mel Brooks era un comico. Come tutti i giullari, irridente. Scanzonato. Spregiudicato. Sopra le righe. Beffardo. Impietosamente ridicolo. Come i suoi cowboy flatulenti. E i suoi bersagli rappresentavano ciò che amava maggiormente. Il vecchio West è una cosa seria ma il pagliaccio non ne conosce il significato. «Ma guardate che cosa ha fatto Mel Brooks al western». Parola di Clint Eastwood, uno che di maschi alfa se ne intende.
Eppure il monello Mel in vita sua non ha guardato in faccia nessuno e di parodie ha vissuto per 95 anni, da quel 28 giugno del '26, quando nacque, quarto figlio maschio di una famiglia ebrea di origini prussiane di Danzica. Rampollo di emigrati ben prima che il nazismo mettesse paura a chi non fosse di sangue ariano, con la realtà drammatica del secondo conflitto mondiale dovette fare i conti combattendo. I quattro fratelli furono arruolati ma tornarono tutti a casa. E il folletto Mel fu libero di prendersela con i mostri sacri. In qualche caso solo mostri, come Hitler, in altri casi anche decisamente «sacri» come Hitchcock.
I suoi strali si abbatterono per ben due volte sul dittatore, deriso in Per favore non toccate le vecchiette, titolo di fantasia che dovrebbe tradurre l'originale The producers, e successivamente in Essere o non essere, libero remake del più celebre Vogliamo vivere!, firmato da Ernst Lubitsch nel '42. Senza volere, Mel Brooks si era messo sulle orme di Charlie Chaplin, il maestro. L'unico, a sua detta, «capace di far ridere e piangere allo stesso momento». L'uomo che in piena bufera bellica si era preso la libertà di schernire il Führer e Mussolini in un colpo solo.
Mel aveva lanciato proiettili dalla sua cerbottana artigianale e una volta aveva dovuto perfino vedersela con uno spettatore che lo rimproverò di aver messo alla berlina un dramma storico. Era trascorso mezzo secolo dalla fine della guerra ma il comico dovette ricorrere all'estemporaneità per controbattere lo sconosciuto che lo apostrofò. «Io ho combattuto in quegli scontri, sa...». E lui di rimando: «Anch'io, ma non li ho visti». Per poi ricordargli che si trattava di un gioco. Una caricatura.
Tutto richiamava i baffetti di Hynkel-Hitler-Chaplin e il filo rosso con un cinema muto che non si circoscriveva a quelle opere ma si spingeva fino a L'ultima follia di Mel Brooks e, in modo diverso, a Che vita da cani!. Un titolo che non poteva non far pensare all'omonimo film del regista del Grande dittatore seppur diverso per la trama. Tra citazioni e sberleffi. Se il folletto non graffia la risata latita. Con il maestro della suspense anche all'impertinente pagliaccio di Brooklyn corse un brivido lungo la schiena. E lo coinvolse.
Si trattò di un incontro fra opposti. Hitch era gioviale a modo suo. Ma, da galantuomo, quando si vide preso in giro in Alta tensione, se ne compiacque. E al bizzarro giullare mandò una cassetta con sei bottiglie magnum di Château Haut Brion del '61 e un biglietto. «Un grandioso intrattenimento, non avere ansie. Ti ringrazio per la dedica anche a nome del Golden Gate. Congratulazioni. Hitch».
Un secolo di graffi e di battute. Risate e qualche lacrima, come quando se n'è andata l'adorata Anne Bancroft, moglie, compagna e complice di una vita fatta di sfottiture cosmiche perché questo fu, ad esempio, Balle spaziali. E, ovviamente, non solo. Un secolo per arrivare all'inverosimile. Il Covid che costringe un anziano di 94 anni a casa, come tutto il mondo. E lui che prende carta e penna e mette la sua vita nero su bianco. Ricordando. Rievocando. Buttandola sul ridere che è la sua specialità. E quei fogli di carta diventati un libro dal titolo Tutto su di me (La nave di Teseo, pp.
620, euro 22) raccontano di un piccolo ebreo, fra i pochi ad essere un Egot cioè un artista che ha vinto Emmy, Grammy, Oscar e Tony Awards. Eppure il senso di questa parabola spettacolare lo ha sintetizzato Steve Allen del Tonight Show: «Volete sapere chi è Mel Brooks? Penso se lo domandi spesso anche lui. Chiunque sia davvero, è un tipo divertente».
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