Erba, poeta "facile" e ribelle con il cuore fra le nuvole

Nel centenario della nascita, l'omaggio a uno scrittore molto amato del nostro '900 e della "linea lombarda"

Erba, poeta "facile" e ribelle con il cuore fra le nuvole

Che tristi le ricorrenze dei poeti! Celebrate, spesso, con la burocratica noia del picchetto d'onore, tutto stasi, niente estasi; ricorrendo, spesso, al vizio accademico, al cerimoniale tribunizio, un tributo ai lari del conformismo, che pena. Esercizio inane, recintare il poeta nella porcilaia di un aggettivo, di una didascalia, di una bibliografia: come marmorizzare il vento, riprodurre in bottiglia il mare. Nato il 18 settembre del 1922, Luciano Erba mi è sempre parso uno che, per vezzo d'elusione, scombinava le tracce, disseminava fraintesi. Dietro il «tranquillo epigonismo» (Pier Vincenzo Mengaldo) di «un perfetto, magnifico minore» (Daniele Piccini), ascritto a una fatua «linea lombarda», intravedi il sovversivo, l'uomo che tra ombre e sorrisi origlia un agguato. In una poesia, Autoritratto, si diceva «ladro di polli/ con gli occhi oggi ancora sprovveduti», «quello che andava per ciliegie/ e a mani vuote/ strappava al tronco nastri di corteccia». Piuttosto, va visto, Erba, come l'esimio brigante, il cacciatore di angeli e morgane, il sonnambulo che «nei prati gialli fuori città» riconosceva «un'Africa immaginata» (Lo svagato), e cintato nel pudore offre una cesta fitta di cobra.

Piaceva a tutti, Erba, forse per quel carattere retrattile, refrattario all'inno e all'ode. Presente pressoché in tutti i referti antologici del secondo Novecento anche nell'iper-ideologica Poesia italiana del Novecento di Edoardo Sanguineti , per i suoi 80 Interlinea pubblicò «un'antologia dedicata a un grande poeta con ottanta inediti di poeti contemporanei»; morì a 88 anni, Erba, nel 2010: non male per uno che aveva intitolato una delle sue raccolte più belle Il nastro di Moebius.

Per questo, per dire, dell'encomio dovuto, doveroso etc. etc. mondadoriano, la raccolta di Tutte le poesie (pagg. 430, euro 24; si prega di correggere, nell'indice, l'orrido refuso, Sul Ttamigi), saltate le pagine introduttive, senza infamia né lode, compito compitino privo di sangue («Col passare del tempo, sempre più nitida e imprescindibile ci appare l'opera di un poeta come Luciano Erba...», attacca, cardinalizio, Maurizio Cucchi, senza smuoversi dal tono da oratoria plumbea), e gettatevi nella cristalleria lirica («i suoi testi assomigliano a piccoli diamanti, a pietre dure, levigate e non scalfibili»: ancora Piccini, in La poesia italiana dal 1960 a oggi, Bur, 2005). Dietro l'apparente facilità dei versi, scoprirete il monarca delle allusioni, il cerusico tra le allucinazioni, l'erbario verbale di Erba, insomma (lo splendore di versi buttati lì, magnetici: «in un ninfeo di scambi e di rocaille», ad esempio). Potenza gnomica, qualità da aruspice, Luciano Erba vedeva in ogni cosa muta un portagioie di agnizioni: afferri la terzina con cui si chiude La donna col sari verde «sentii la pena di quanto ci sfugge/ sia pure se in un raggio verde/ l'istante sembra avvicinarsi all'eterno» e cadi in un miracolo caldeo, nel puro arcano, che unisce Jules Verne (Le Rayon vert) alla mistica green light del Grande Gatsby.

Notevole francesista, aveva sintonia con François Villon e Blaise Cendrars memorabile la raccolta dei Miei poeti tradotti (Interlinea, 2014) , con quelli che giocano a sparire, ispirati da una soffusa intransigenza: Georges Rodenbach, Pierre Reverdy, Francis Ponge. I suoi autori sono sempre insoliti, insperati: dalla lingua inglese preferì May Swenson, gli dobbiamo le rare traduzioni di Thom Gunn (che bello l'esordio di Nevicata: «Nessuna meraviglia se la gente/ appare guardinga verso il bianco.../ L'elemento è abbagliante, totale,/ il suolo che si preme luminoso»). Su tutti, adorava Saint-John Perse, poeta tanto diverso da lui, a cui dedicò uno studio Di alcune ragioni e suggestioni delle enumerazioni di Saint-John Perse e che tradusse per gioco privato («la mia passione fu tale da ridurre il tentativo traduttorio a un confuso balbettio. Succede»). In una lunga intervista concessa a Cesare Cavalleri, pubblicata su Studi Cattolici (n. 1, marzo 1987), disse che di Saint-John Perse poeta troppo vasto per essere capito in questo millennio piccolo, vizzo amava «il suo invito a riconsiderare certe categorie: l'anima, la nobiltà, la bellezza del gesto, la bellezza in quanto tale, il valore estetico quale valore onnicomprensivo, totalizzante, e quindi più importante del giusto, del buono, dell'utile».

Di Erba resta la contiguità, lombarda, con la franchezza di certi monaci-poeti taoisti, alcune poesie memorabili, come Il tranviere metafisico dove si accende, come sempre, il miracolo gnostico: «Al risveglio rispunta il dubbio antico/ se questa vita non sia evento del caso/ e il nostro solo un povero monologo/ di domande e risposte fatte in casa» : soltanto lui poteva chiamare «tenerissimo yeti» il gatto di famiglia (in Congedo). Tutto, in Luciano Erba, rifugge dal calcolo e dal carcere della definizione; perfino la sua vita, che svaria tra il lavoro da impiegato presso la Banca Commerciale e quello come custode di un liceo a Parigi, gli alti impegni universitari che lo portarono da Udine alla Cattolica di Milano, dove è stato ricordato, tra l'altro, il 21 settembre, in una giornata di studi, «La Biblioteca di Luciano Erba» ai viaggi negli Stati Uniti, alle battute di pesca a Vannes, in Bretagna.

Le poesie di Erba, d'altronde, sono piene di nuvole. In una memoria riportata da Samuele Fioravanti autore di un'eccellente edizione commentata de L'ippopotamo per Interlinea , Erba ricorda una passeggiata parigina con Bartolo Cattafi, «eravamo anche un po' brilli». I poeti si fermano a mirare le nubi, «immaginammo che fossero i ghiacci della banchisa polare quando si frantumano al momento del disgelo e che ci fosse pure un orso».

In una poesia dedicata alle «sfrangiate nuvole», les merveilleux nuages di Baudelaire e che s'intitola, appunto, Nuvole , Erba scocca un endecasillabo delicatissimo: «amo, dunque io sono, io e te siamo». Ed eccolo qui, il poeta: tra i celesti e i bassifondi, che decritta le nuvole, specie di chiromanzia cosmica, scorge gli orsi in cielo, vaga, è nell'ebbrezza ama.

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