Erotismo, paesaggi, cosmo. La concretezza dell'arte astratta

Una "storia globale" della creatività non figurativa che mostra come le sue radici affondino nel mondo reale

Erotismo, paesaggi, cosmo. La concretezza dell'arte astratta

Il gossip dell'arte hanno attribuito a Picasso una frase del seguente tenore: quando i pittori americani non sanno che fare, fanno l'arte astratta. Una battuta indubbiamente cattiva che allo stesso tempo nascondeva una certa preoccupazione rispetto alla solidità del suo primato nella classifica della pittura. Nel frattempo, Pollock, Rothko, Newman avevano compiuto una rivoluzione generazionale che passava per la rinuncia al realismo e per l'analisi formale e strutturale del dipinto, ben oltre i contenuti.

La seconda stagione dell'astrazione, ovvero gli anni '50, è la più significativa, persino più importante rispetto all'inizio del XX secolo; però rimanendo ancorati ad allora si rischia di non comprenderne i profondi mutamenti che l'hanno traghettata fino al presente. Perciò è fondamentale il volume di Pepe Karmel, L'arte astratta. Una storia globale, poderoso illustrato appena pubblicato da Einaudi (collana Grandi opere, pagg. 360, euro 75, ben spesi).

L'autore - storico dell'arte, docente alla New York University e curatore al MoMA, ha scritto saggi importanti su Picasso, Pollock, Robert Morris - si propone di rovesciare la prospettiva critica proprio a partire dalla globalizzazione. Non solo arte americana per eccellenza, ma fenomeno che si estende ovunque, inserendo accanto alla prospettiva individuale (anzi individualistica) del pittore l'esperienza sociale. E non solo dunque l'elevazione spirituale dell'astratto, ma anche temi attuali come «la razionalità utopistica della tecnocrazia, l'euforia dell'indipendenza postcoloniale, il tumulto della globalizzazione e l'orrore delle dittature militari».

Altra evidente novità nel contemporaneo: la pittura astratta non è più appannaggio esclusivo dei maschi bianchi. Sono finiti i tempi in cui Lee Krasner, moglie di Pollock, doveva cambiare il nome di battesimo per farsi prendere sul serio dai critici e dai direttori di museo. Fin dagli anni '60 si sono fatte spazio artiste come Eva Hesse, Ursula von Rydingsvard, Carmela Gross, Hannah Wilke, Judy Chicago, Lynda Benglis in un concetto di pittura che supera la tela per estendersi a scultura, installazione, performance. Per quanto riguarda il contributo della Black Culture, importante il recupero di alcune figure marginali come Chakaia Booker che lavora con copertoni e camere d'aria in una versione tridimensionale di Pollock. Non è certo casuale che oggi uno degli artisti più importanti sul mercato sia nero, il californiano Mark Bradford, talento strepitoso che coinvolge il visitatore nei suoi giganteschi Environment dentro un'esperienza emotiva fortissima.

Senza indugiare troppo sulla cronologia, Karmel utilizza il paradosso delle figure per narrare le avventure della pittura aniconica. Parla di corpi partendo dalle Danze di Picabia e dal Dinamismo di Boccioni, attraversa le avanguardie con le calligrafie di Klee e il Kandinskij organico degli anni '40 per arrivare all'erotismo di Cecily Brown e alle esplosioni organiche di Ingrid Calame.

Secondo tema, il paesaggio che non è più quello di derivazione romantica, ma l'espressione del vortice, di un mondo in perpetuo divenire; lettura del presente cui contribuiscono diversi artisti cinesi di diverse generazioni - Zao Wou-Ki, Wu Guanzhong - ove si sovrappone il minimalismo in coincidenza con l'abbandono progressivo della pittura, se non alla sua riduzione verso il grado zero.

Eccoci alle cosmologie, a esprimere visioni del mondo complesse che includono la mistica talora insospettabile quando ridotta a forme semplici, fin dal cerchio policromo della copertina, autrice Hilma af Klint, svedese attiva negli anni '10 del Novecento. Persino The Weather Project, la memorabile installazione di Olafur Eliasson alla Turbine Hall della Tate a Londra (2002) è letta come l'esempio estremo di pittura astratta cosmologica, conseguenza degli ambienti cinetici degli anni '60.

L'excursus si conclude con il capitolo dedicato alle architetture - da Mondrian ad Albers, da Stella ad Halley - e ai segni e motivi, dove l'astratto si incrocia con il decorativo - Sean Scully, El Anatsui, Cy Twombly e tanti altri.

Il libro ha un doppio registro: quello storico saggistico e l'atlante composto di immagini e di utili schede critiche. Un solo limite: pochissimo spazio è dedicato alla pittura italiana. Ed è una dimenticanza grave, perché la nostra astrazione ha alimentato il dibattito nel secondo dopoguerra rispetto al realismo di matrice picassiana. Ignorare Vedova, Afro, Dorazio e soprattutto Fontana (Burri vi è appena accennato, Capogrossi c'è) è incomprensibile.

Lo stesso vale per Schifano rispetto alla Pop Art e per Nicola De Maria, quando si parla di pittura negli anni '80. Se devi scegliere dieci artisti al mondo forse puoi farne a meno (ma di Fontana no!), se ce ne sono centinaia il taglio non suona del tutto legittimo.

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