Ci sono film come Supernova che generano aspettative più alte di altri, specie se si reggono su prove attoriali di peso. In questo caso, però, il fatto di avere come colonne portanti dell’opera il premio Oscar Colin Firth e il candidato all'Oscar Stanley Tucci ha come risultato quello di amplificare la delusione: il racconto, sulla carta, avrebbe tutto per andare a segno e invece lascia emotivamente distaccati. Da spettatori si prova quasi disagio nel nutrire così poca empatia per una vicenda ipoteticamente strappacuore. L’evidenza resta: “Supernova” è molto meno impattante di tanti altri titoli che hanno esplorato con più incisività il binomio amore- malattia.
Il regista Harry Macquee, alla sua seconda opera, ha a disposizione due grandi attori e un tema a dir poco dilaniante, eppure confeziona una pellicola mai davvero toccante, vittima di una sobrietà aggraziata ma un po' lamentosa.
Tusker (Tucci) è uno scrittore brillante, nonché un grande appassionato di astronomia. Sam (Firth), invece, un pianista. Sono partner da vent'anni e stanno attraversando l’Inghilterra del Nord sul loro vecchio camper. L’intenzione è fare visita ad amici e familiari, rivedendo luoghi significativi del passato. Sono giorni speciali perché vissuti nella consapevolezza che nulla, ben presto, sarà come prima: Tusker ha infatti scoperto di soffrire di una forma precoce di demenza. Tra affetto, abitudini consolidate e apprensioni inedite, i due appaiono complici, ma non sul come gestire il finale del loro lungo addio. La tenuta del legame e della loro stabilità psicologica sarà messa a dura prova dalla presenza, nella coppia, di mezze verità, pianificazioni nascoste ed emozioni represse.
Il decorso inesorabile della malattia, fatto di difficoltà cognitive e motorie che si aggravano di giorno in giorno, mette in risalto quanto la devozione reciproca resista anche alla più acerrima turbolenza ma, onestamente, il film “americano” di Paolo Virzì, “Ella & John - The Leisure Seeker”, aveva reso il road movie in camper di una coppia di fronte al fine vita in maniera molto più viscerale.
“Supernova” si spinge in più momenti all’anticamera della noia, evitandola di un soffio.
Nonostante capacità recitative di livello, l’interazione tra i protagonisti suggerisce più un sentimento fraterno o un sodalizio amicale che vero slancio amoroso. La cosa davvero significativa del film è che non si fa mai caso al sesso di appartenenza dei protagonisti: l’omosessualità non si coglie, se non come mero dettaglio secondario del ritratto di un affetto a prova di tragedia. Non si contano gli abbracci che legano le due persone al centro del dramma, quasi tutti spesi tra le lenzuola alle soglie del sonno. Un modo poetico di sottolineare l’universalità del quotidiano volersi bene.
In "Supernova" da un lato ci sono i rituali di lunga data e la complicità, dall'altro c'è la rappresentazione fedele dell’autunno della vita con la bellezza malinconica del paesaggio circostante, le parole dette e quelle taciute. Su tutto regnano una compostezza assoluta, il rigetto degli stilemi del melò e alcune riflessioni sull’Alto, su un universo in cui la morte non risparmia neppure le stelle (o forse sì, dal momento che ricadono sulla terra sotto forma di materia viva, come Tusker cerca di spiegare a una ragazzina).
"Non si dovrebbe piangere qualcuno quando è ancora in vita", afferma l'ammalato ad un certo punto di quello che sa essere il suo viaggio verso l’obnubilamento. Conosce il suo destino, predispone il modo di arginarne la crudeltà, mantiene un tocco di ironia. L’altro, il compagno che gli sopravvivrà, è il vero tormentato tra i due, ma la sua non sarà mai disperazione conclamata, bensì occasionale intensificarsi dello scoramento.
“Supernova” ci sprona a ricordare come l’essenza dell’amore sia nell’accudimento, nell’accettazione e nel rispetto.
Il limite del film è
che funziona un po’ come la lente di un telescopio: da spettatori scorgiamo il crepuscolo di un’anima ma continuando a percepire la distanza, come se osservassimo costellazioni lontane.Da oggi al cinema.
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