Fiume e il silenzio della Farnesina

Fiume e il silenzio della Farnesina

Può la commemorazione del centenario di un evento storico trasformarsi in un caso diplomatico internazionale? Se di mezzo ci sono l'Italia, la Croazia, Fiume e d'Annunzio e pure Di Maio sì. Specialmente se tutto il complicato contesto storico viene ridotto al sistema binario di fascismo e antifascismo. Sempre comodo per bagattelle elettorali e rigurgiti nazionalistici. Il centenario dell'Impresa fiumana, celebrato il 12 settembre, è stato, in un certo senso, più dannunziano del previsto. E, a renderlo tale, involontariamente, sono state sia le autorità croate che quelle italiane. Mentre Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale degli Italiani, inaugurava una statua del Vate a Trieste il capo di stato croato Kolinda Grabar-Kitar - da Zagabria - twitta inferocita: «Fiume era e rimane una parte fiera della Patria croata e il monumento scoperto oggi a Trieste che glorifica l'irredentismo e l'occupazione, è inaccettabile». Il presidente di uno Stato straniero che pontifica sulla statua di un poeta italiano in Italia. Una follia. Le vanno dietro altri esponenti politici croati e la celebrazione - della statua a Trieste e di una mostra sull'impresa a Fiume - diventa un caso. Il governo recapita persino una nota verbale all'ambasciatore italiano: «L'inaugurazione, come il ricordo dell'anniversario dell'occupazione di Rijeka in alcune altre città italiane non solo mina le relazioni amichevoli e di buon vicinato tra i due Paesi, ma è anche il riconoscimento di un'ideologia e di azioni che sono in profondo contrasto con i valori europei». Un ragazzino viene fermato e portato in questura per aver esposto un tricolore di fronte al palazzo del governo nella cittadina croata, un tempo sede delle truppe del Vate. A una pattuglia privata di aviatori abruzzesi che voleva commemorare l'impresa, viene impedito l'atterraggio in terra croata: «Ci hanno detto di tornare indietro e anzi gli italiani ci avevano detto che ci avrebbero intercettato, in pratica che saremmo stati avvicinati da due caccia militari croati e che in caso di mancato assolvimento all'ordine di tornare in Italia addirittura avrebbero potuto sparare». Tutto surreale. Tutto stupendo. Se non avessimo trascorso parte della giornata insieme a Giordano Bruno Guerri, avremmo giurato che era tutta una sua invenzione, una strategia di marketing - assolutamente dannunziana - per pubblicizzare il Vittoriale, il Vate e le sue opere. Una grande beffa postuma nel nome dell'orbo veggente. Invece, purtroppo, è tutto vero. Ma a stupire non è tanto la canea scatenata dalle autorità croate, quanto il silenzio di quelle italiane. Troppo impegnate ad accaparrarsi le poltrone dei sottosegretari per respingere al mittente una inaccettabile invasione di campo straniera. Se l'era sovranista è tramontata - ammesso che sia mai sorta - lo si vede anche dal punto di vista culturale. La Croazia attacca e l'Italia tace. Luigi Di Maio, neo ministro degli Esteri e dunque titolare del dicastero di competenza, non balbetta neppure un tweet. Troppo impegnato a giocare al risiko degli incarichi giallorossi. La Farnesina pare «abbia preso in mano la situazione». Noi abbiamo il dubbio che Di Maio stia ancora googlando «Fiume» per capire qualcosa di questa strana querelle fluviale. Ma poi dei corsi d'acqua non si occupa il ministero dell'Ambiente? Bocche cucite anche al ministero della Cultura. Franceschini è troppo impegnato a difendere la passerella di Zerocalcare e Saviano all'Aquila per accorgersi di ciò che sta succedendo e rilascia una dichiarazione ai limiti del surreale: «Non accettiamo interferenze, non si censura la cultura». Ottimo. Ma lo dica alla presidente croata, non al sindaco abruzzese.

Intanto sotto il sole tiepido di Fiume, tra i cigolii delle gru di un porto arrugginito e l'odore di vecchie cime, l'Italia porta a casa un'altra figuraccia. Da qualche parte, nel frattempo, d'Annunzio se la ride: è rivoluzionario anche cento anni dopo. Riesce a far casino anche da morto.

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