Un film che sulla carta è impegno politico, ma in cui tale lotta è fagocitata da un thriller che sembra fatto apposta per farti dimenticare la sua finalità. Qui, una tragedia umana come quella dell'Apartheid in Sudafrica viene sfiorata, quasi nascosta, pur essendo il presupposto che dovrebbe reggere tutta la storia. In pratica, la fuga dal carcere di Pretoria di tre attivisti pseudo-terroristi (non riescono nemmeno a distribuire dei volantini per strada, facendosi beccare al primo colpo), potrebbe essere quella di un qualsivoglia criminale, imprigionato per un reato qualsiasi. Della loro accusa vi dimenticherete dopo pochi minuti, concentrati sulla progettazione della loro clamorosa evasione che, attenzione, non è inventata, ma un fatto di cronaca. Che si stia parlando di lotta alla segregazione delle razze lo spiega il monologo iniziale: «Non volevamo una vita basata su bugie e indifferenza. Volevamo unirci alla lotta in corso per un Sudafrica democratico e libero, non basato sulla discriminazione razziale». Siamo nel 1978 quando Tim Jenkin (Daniel Radcliffe), Stephen Lee (Daniel Webber) e Leonard Fontaine (Mark Winter) vengono imprigionati per le loro azioni contro l'Apartheid. Sono bianchi e, a maggior ragione, visti come dei traditori da tutti coloro che sostenevano la differenza tra bianchi e neri. Il loro piano d'evasione è folle: costruire una serie di chiavi in legno che apriranno una dopo l'altra tutte le porte della galera, compresa quella verso l'esterno. Niente tunnel o muri saltati, come nella più rigida tradizione dei film carcerari, ma una machiavellica idea di fuga, passando dalla porta principale. Il protagonista ci scritto fatto un libro, quindi si può immaginare come sia andata a finire. Nonostante ciò la tensione è palpabile, pur con degli agenti carcerari che sembrano grottesche caricature, per non dire dei mezzi idioti.
Insomma, un film scarico politicamente, con villain non all'altezza, un protagonista (Radcliffe) che non trasmette mai angoscia o terrore; eppure, la sola visione dell'evasione è a dir poco magistrale, tenendo conto anche della pochezza dei mezzi a disposizione. Facciamocela bastare.
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