Ancora oggi la Storia della storiografia moderna dello svizzero Eduard Fueter, pubblicata per la prima volta nel 1911, è un utilissimo strumento di lavoro. Malgrado l'impianto positivistico, essa costituiva un tentativo di scrivere una «storia delle storie» dall'Umanesimo al crepuscolo del XIX secolo attenta alle «tendenze» e alle «scuole» piuttosto che ai singoli storici. Alla base di quest'opera, divenuta classica, v'era la convinzione che fosse necessario cogliere «il nesso della storiografia colla vita». Affermazione che, mutatis mutandis, non può non richiamare la celebre tesi di Benedetto Croce secondo il quale «ogni storia è storia contemporanea». Non è un caso che due delle più importanti opere della cultura storiografica contemporanea, Teoria e storia della storiografia e Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, entrambe di Croce, siano idealmente collegate al libro di Fueter.
Quel che manca, allo stato attuale, è una prosecuzione dell'opera di Fueter che permetta di seguire l'evoluzione del «pensiero storico» di fronte alle grandi crisi morali, prima ancora che storico-politiche, del '900. La storia della storiografia è stata relegata in secondo piano anche negli studi accademici nella presunzione, probabilmente, della sua inessenzialità ai fini della conoscenza. Tra le poche eccezioni di storici che amano riflettere sulla propria disciplina e sulle sue direttrici di evoluzione spicca Giuseppe Galasso, studioso orgogliosamente crociano e convinto che lo storicismo abbia rappresentato, e rappresenti tuttora, «il culmine del moderno pensiero europeo». Il suo nuovo lavoro, dal titolo Storiografia e storici europei del Novecento (Salerno Editrice, pagg. 432, euro 32), si ricollega alla Storia della storiografia moderna di Fueter non tanto perché ambisca a costituirne il proseguimento, quanto perché propone un quadro che, per un verso, enuclea le linee tematiche e metodologiche della ricerca storica del '900 e, per un altro analizza alcune delle più importanti figure di storici che a tali tendenze hanno dato voce. Vi è ben delineato il «peso» di taluni avvenimenti sugli sviluppi della ricerca: la prima guerra mondiale, l'instaurazione del comunismo in Russia, l'avvento dei regimi autoritari e via dicendo. A tali vicende si accompagnarono, in campo storiografico, nuove tendenze che miravano, con risultati non sempre positivi né omogenei, a soppiantare il primato della tradizionale «storia politica» ovvero a far entrare nel terreno della ricerca storica le scienze sociali, l'antropologia, la demografia, l'etnologia, l'economia e finanche la filosofia. A partire dagli anni Trenta, per esempio, cominciò ad affermarsi la cosiddetta scuola delle Annales, portabandiera di una nouvelle histoire sulla quale il giudizio di Galasso è articolato e distingue i padri fondatori - a cominciare dal Marc Bloch dello splendido I re taumaturghi (Einaudi) - dai troppi acritici epigoni. Importanti e innovativi furono poi, nel '900, taluni approcci storiografici in chiave culturale: dai lavori del pensatore liberale Isaiah Berlin che, abbandonando la filosofia, pervenne alla storia delle idee, in particolare del liberalismo, fino alle opere di George L. Mosse che, muovendo dagli studi di storia moderna, giunse a suggerire chiavi interpretative dei totalitarismi contemporanei attraverso l'introduzione di concetti euristicamente fecondi come quello di «nazionalizzazione delle masse». Un altro dei tratti fondamentali della storiografia europea del XX secolo fu l'apparire, negli ultimi decenni, di filoni cosiddetti revisionistici cui Galasso non è vicino, ma dei quali esamina, con spirito talora eccessivamente critico, i due casi più emblematici: quello di François Furet, studioso dell'«illusione» comunista dalla rivoluzione d'ottobre alla dissoluzione dell'impero sovietico, e quello di Ernst Nolte, giunto alla storia dalla filosofia di Heidegger e sostenitore della tesi del fascismo come «risposta» al comunismo.
Malgrado le tante linee e tendenze storiografiche del '900, c'è tuttavia, per Galasso, da registrare una «perdita del senso della storia». Da crociano ortodosso, osserva: «Croce non avrebbe mai potuto immaginare a qual punto sarebbe giunta nell'Europa del nostro tempo la negazione, la svalutazione, la contestazione non solo dello storicismo e della storiografia, ma della stessa storicità come concetto fondamentale della logica e dell'azione umana».
E proprio nell'abbandono di questi elementi - storia, storicismo, storicità - è da rintracciare la causa di quella crisi morale dell'Europa, della quale quella italiana è parte. Una crisi dalla quale si può uscire solo recuperando il «senso della storia». Attraverso la riscoperta non solo della storia, ma anche della «storia delle storie».
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