Girard: "La democrazia non ci salverà"

Il grande politologo francese così spiegava lo scontro tra islam e Occidente

Girard: "La democrazia non ci salverà"

Qualcuno l'ha definito il «Darwin delle scienze umane», perché non solo l'antropologo delle religioni René Girard è il massimo studioso del rapporto fra religione e violenza - restano fondamentali su questo tema i suoi saggi La violenza e il sacro e Il capro espiatorio -, ma è colui che ha ripercorso le vicende dell'intera evoluzione umana grazie alla psi- cologia, la letteratura, la mitologia, la storia della cultura. La sua teoria più famosa è quella del capro espiatorio, che lega la nascita delle civiltà (e delle religioni arcaiche) a un omicidio rituale originario, vale a dire all'istituzione di un sacro colpevole, che nelle antiche religioni veniva appunto caricato di tutte le colpe collettive e, poi, ritualmente ucciso, o espulso. Era la logica della vendetta. Così la civiltà, la società, la città poteva sopravvivere. Ma il meccanismo mimetico si è interrotto solo col cristianesimo, che l'ha ribaltato con la compassione per la vittima. Con questo grande antropologo, che ha vissuto e insegnato tra la Francia e gli Stati Uniti, parliamo del confronto fra islam e Occidente dopo la guerra in Iraq.

La seconda guerra del Golfo è finita ma lo scontro di civiltà -fra le culture e le religioni- sembra davvero aver luogo: aveva ragione Samuel Huntington? Lei cosa ne pensa?

«Samuel Huntington sostiene argomenti veri, ma esagera e fa un'analisi semplicistica di fenomeni che hanno molte più cause ed effetti di quanto lui faccia notare. La sua teoria viene molto utilizzata per contrapporre il mondo cristiano e quello musulmano, ma in realtà nel contrasto fra islam e Occidente vi sono assai più motivazioni di origine economica, culturale, scientifica e tecnologica che religiosa. Non voglio dire che l'elemento religioso non c'entri nulla, anzi, ma senza dubbio non è il fattore determinante di quanto si sta verificando nel mondo dopo 1'11 settembre. Che è stato davvero un evento capitale. Anzitutto per l'America, che ha perduto il suo sentimento di sicurezza e di inviolabilità».

Noi abbiamo visto cosa però è accaduto in Algeria, in Bosnia, nel Medio Oriente: come evitare che le religioni siano considerate sinoninio di conflitti e violenze?

«È molto difficile, non tanto perché le religioni siano causa diretta di conflitti: il problema è che gli uomini utilizzano tutte le appartenenze, le motivazioni nazionalistiche, etniche e anche religiose, per farsi la guerra. Non solo la religione dunque, ma anche i patriottismi, le ideologie, le classi sociali, le idee politiche: ogni pretesto è buono. Nel secolo scorso si pensava che la causa delle guerre fosse la lotta sociale fra le classi, oggi si pensa lo stesso delle religioni, ma io credo che entrambe le analisi siano sbagliate. Ricordi quanto scriveva Swift nei Viaggi di Gulliver: due popoli si combattono perché non sono d'accordo su come cuocere le uova à la coque, se rompendole in cima o in fondo. Swift aveva ragione nel considerare la futilità delle motivazioni per fare la guerra. Oggi, morte le ideologie, resta la tendenza permanente degli uomini a dividersi fra noi e loro, per identità e segni d'identità elementari: la diversa fede, il diverso colore della pelle. Oppure pensi a Montaigne, che era tutt'altro che un fanatico. Così commentava le guerre di religione che insanguinarono la Francia nel XVI secolo: se si provasse a convocare uomini pronti a fare la guerra in nome della religione cattolica o protestante, non si riuscirebbe a mettere insieme un battaglione, un solo battaglione. Vale a dire che non si troverebbero cinquanta uomini disposti a battersi per motivi veramente religiosi. Penso che anche oggi sia profondamente sbagliato fare un processo alle religioni come scaturigini dei conflitti. E questo credo che valga in America ancora più che in Europa.

Ma come? I fondamentalisti islamici e gli estremisti ebrei si combattono con furore. E in Europa solo pochi anni fa gli ortodossi serbi hanno versato fiumi di sangue in Bosnia...

«Facciamo un passo indietro, guardiamo al secolo appena trascorso. Ecco, il Novecento è stato forse il secolo delle massime violenze della storia; ma la Grande Guerra fu un massacro innescato dai nazionalismi, non dalla fede; e il secondo conflitto mondiale non fu altro che una lotta gigantesca, colossale tra i due totalitarismi, il marxismo e il nazismo; e questi ultimi sono stati ambedue non solo areligiosi, ma profondamente ostili alla religione. Chi afferma che la fede è la madre delle violenze contemporanee, come fa buona parte della cultura laica - che sostiene che i monoteismi sono la madre di tutte le violenze - tratta la religione da capro espiatorio. La carica di colpe non sue. La connessione fra sacro e violenza era molto più presente nelle religioni arcaiche».

Ma come vincere allora i fondamentalismi? Come aiutate i popoli musulmani ad approdare alla democrazia?

«È estremamente difficile. Dobbiamo avere uno sguardo disincantato e allora vedremo che non è affatto detto che democrazia voglia dire assenza di guerra. Noi occidentali siamo ottimisti ma in realtà non ne siamo affatto certi: non è detto che i popoli siano più pacifici perché hanno un governo più o meno democratico. Noi siamo soliti pensare che i popoli sono più pacifici dei governi. Ma è proprio vero? Nello stesso tempo, viviamo in un mondo in cui lo sviluppo economico, basato sulla concorrenza frenetica, la forma di conflitto oggi più espansa, sta per diventare lui stesso una minaccia.

Lo ripeto, anche se non è politicamente corretto dirlo: non abbiamo affatto la certezza che la democrazia sia il mezzo naturale per darci la pace. Da due secoli l'Europa ha ucciso il re, e si pensava che una volta soppressi i re non ci sarebbero state più guerre».

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