Glenn Gould, il leggendario pianista, moriva il 4 ottobre 1982 a Toronto, dove era sempre vissuto in estrema solitudine, suonando e registrando di notte e dormendo di giorno, uscendo dalla sua tana alle ore piccole per andare in un misero diner sempre aperto a mangiare qualcosa, che di solito erano uova strapazzate. Per addormentarsi vedeva la tv (adorava i giochi a quiz) e come distrazione giocava in borsa, pare con successo. Vista da fuori, la vita di Gould è quella di un sociopatico infelice e il fatto che assumesse una notevole quantità di pillole, tra le quali ansiolitici e sonniferi, forse responsabili della sua precoce morte a cinquant'anni, conferma questa sensazione. Tuttavia Gould diceva: «sono felice solo quando sono solo». Ebbe diverse relazioni, la più significativa quella con Cornelia Foss, moglie del compositore e direttore d'orchestra Lukas. Lei abbandonò il tetto coniugale di New York portandosi i figli a Toronto, per avvicinarsi all'amante. Dopo quattro anni, Gould cominciò a manifestare sintomi di paranoia, diceva a Cornelia di sentirsi osservato, seguito, spiato. La donna comprese che Gould, come Strindberg, era uno di quei geni solitari e incapaci di avere relazioni stabili. Tornò dal marito. Dieci anni dopo Gould sarebbe morto, lasciando in eredità un cospicuo numero di registrazioni, quasi tutte per la Columbia (oggi Sony), che fissarono una nuova immagine, talora volontariamente provocatoria, di molti grandi (si pensi alla sua affermazione di aver inciso tutte le sonate di Mozart non perché le amasse, dal momento che apprezzava soltanto quelle giovanili, bensì «perché avevo voglia di fare un'integrale»). Soprattutto Bach: con le due incisioni in studio delle Variazioni Goldberg, la prima del 1955, che lo rivelò al mondo, e la seconda del 1981 con tempi sensibilmente più lenti e dove già si respira un'aria da ultimi giorni dell'umanità, Gould ha influenzato non solo generazioni di musicisti, ma anche filosofi come Gilles Deleuze, che lo cita in Millepiani, scrittori come Thomas Bernhard, che ne fa l'inarrivabile antagonista del narratore, un aspirante virtuoso del pianoforte, ne Il soccombente, e registi, che hanno attinto abbondantemente alle sue incisioni, specialmente quelle bachiane, si pensi al magistrale uso che ne fa il regista Steve McQueen nella colonna sonora del suo film più riuscito, Shame. Senza trascurare il fatto che Gould fu anche un notevole pensatore e scrittore, come testimonia il successo editoriale del libro che raccoglie tutti i suoi scritti, The Glenn Gould Reader, in Italia parzialmente pubblicato da Adelphi con il titolo baudelairiano L'ala del turbine intelligente. In ogni scritto di Gould si trova una messe di citazioni e riferimenti, da Baudelaire, appunto, a Kafka, a Antonioni, a Bergman, a Tolstoj, e, cosa sorprendente per un musicista, tutte a proposito, illuminanti, e inesorabilmente più originali di quelle spacciate da critici cinematografici o letterari. A quasi quarant'anni dalla sua morte, possiamo domandarci se questo artista unico abbia eredi. Pianisti che, se non possono rivaleggiare con la sua mercuriale intelligenza dei nessi segreti tra i settori più disparati, possono però darci la sensazione che, dopo Gould, suonare Bach al pianoforte sia ancora un atto rivelatorio, un'esperienza trascendente, per usare un aggettivo caro a Gould. E la risposta è positiva; lasciando momentaneamente da parte i cultori del clavicembalo (che Gould stesso peraltro suonò in delle discutibili incisioni delle Suites di Händel) citiamo tre pianisti, due viventi e una scomparsa di recente, che, quando ascoltiamo i loro dischi di Bach o altri compositori (ma Bach specialmente), non ci fanno rimpiangere troppo Glenn Gould. Sono la cinese Zhu Xiao-Mei e il russo Evgeni Koroliov, nati nel 1949, e la russa Dina Ugorskaja, nata nel 1973 e prematuramente scomparsa per un cancro nel 2019. Hanno approcci e concezioni profondamente differenti, ma tutti e tre, quando li ascoltiamo eseguire una fuga di Bach o una delle variazioni Goldberg, ci sprofondano (o elevano) in un mondo sonoro trascendente e originario, distinto da quello dei pur grandi pianisti per i quali Bach è importante, ma non è un culto, come lo era per Gould. Ci piacerebbe parlare diffusamente di tutti e tre, ma ci limiteremo a soffermarci sull'ultima, la più giovane e sfortunata, Dina Ugorskaja, perché forse è quella la cui musicalità introspettiva e screziata di misticismo si avvicina di più allo spirito gouldiano. Coincidenti anche alcune attitudini: in una delle sue ultime interviste, Gould si lamentò del fatto che la musica stava perdendo il senso dell'Adagio, affermando che un brano, se veramente profondo, deve essere eseguito molto lento. Parole autocritiche, considerati certi tempi pazzescamente rapidi che, specie in gioventù, aveva adottato; benché detestasse la figura del virtuoso, anche Gould ogni tanto cedeva alla tentazione di mostrare la prodezza digitale di cui era dotato. Ugorskaja ugualmente in una delle rare interviste fustigò la mania della velocità, definendola «un'ingiustizia contro la musica». E, come Gould, di fronte a certi solenni preludi e fughe di Bach del Clavicembalo Ben Temperato, specialmente quelli in modo minore (si ascolti il sublime dittico in do diesis minore dal primo libro), sembra voler tendere a un rallentamento estatico che quasi sospenda il tempo, facendo cantare spiccatamente ogni nota del mirabile contrappunto. Come il singolo tassello del mosaico, quando l'occhio vi insiste intuendo che troverà già nel frammento l'intero. E non pare solo coincidenza il fatto che anche Ugorskaja abbia tentato la strada della composizione, arenandosi, come Gould che non riuscì mai a scrivere una Opus 2, oziando tra facezie neobarocche e pur mirabili trascrizioni, sullo scoglio di un quartetto per archi. Riscontriamo anche diversità: Gould suonò per tutta la vita pianoforti Steinway, opportunamente modificati da lui stesso affinché sembrassero «clavicembali castrati», salvo adottare lo splendido Yamaha che ascoltiamo nelle Goldberg del 1981. Cambiare strumento, per un ipersensibile come lui, voleva dire non meno che mutare concezione della musica: più densa, scura, corposa, meno rigida, ossuta, tagliente. Un mutamento che lo stava portando a abbandonare quasi completamente il pianoforte per dedicarsi alla sola direzione d'orchestra, di cui ci restano solo tracce, la più cospicua un lentissimo Idillio di Sigfrido, sgrassato a piccolo coro polifonico. Ma il trait d'union decisivo sta nel clima, nell'atmosfera.
Se Xhiao-Mei e Koroliov sono sublimi cesellatori, con finezze da scribi cinesi, Ugorskaja e Gould sono appaiati da una visione che non sapremmo meglio definire se non desertica. Viaggiare scortati dalle loro note è come far parte di una carovana persiana che si muova al fresco della notte in un sentiero illuminato solo dall'ispirazione più pura e alta.
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