C' è voluto il centenario dell'avventura fiumana di Gabriele d'Annunzio per liberare questa pagina della storia nazionale dalle tante, troppe incrostazioni, reticenze, semplificazioni e fuorvianti se non denigratorie ricostruzioni. La «vulgata fiumana» era stata demistificata già nel 1965 da Renzo De Felice, nel suo primo volume della biografia mussoliniana. Mezzo secolo dopo Giordano Bruno Guerri in Disobbedisco (Mondadori) ha tracciato un quadro di apprezzabile chiarezza su come d'Annunzio fu per sedici mesi alla guida di Fiume. E oggi all'auditorium dell'UNITRE milanese, un gruppo di ricercatori e appassionati «fiumani» celebrerà il Poeta Condottiero, nel corso dell'incontro Fiume città sacra, manifestazione organizzata da Daniele Orzati e Andrea Scarabelli. Fiume è il palcoscenico teatrale della «rigenerazione nazionale» sul quale D'Annunzio costruisce, quotidianamente, la sua opera d'«arte totale». Alla corte del Poeta Condottiero accorrono rivoluzionari di ogni tendenza: arditi, militari, futuristi, nazionalisti, sindacalisti rivoluzionari. Accorrono anche letterati e artisti: il giovane Giovanni Comisso, il diciassettenne Marcello Gallian. Si fanno vedere anche i meno giovani Ricciotto Canudo, Filippo Tommaso Marinetti, Guglielmo Marconi, Arturo Toscanini. A Fiume vengono abolite le restrizioni. Di ogni genere. Persino religiose. Persino sessuali. Il socialista Filippo Turati informa inorridito la compagna Anna Kuliscioff: «Fiume è diventato un postribolo».
Il Comandante ha praticamente un'inventiva inesauribile. Per il suo più stretto collaboratore, il giovane e ardimentoso Guido Keller, l'«asso di cuori», pilota nella eroica squadriglia di Francesco Baracca (nei giorni caldi lancerà un pitale sul parlamento italiano), escogita un incarico strabiliante: segretario d'azione. Sempre De Felice aveva suggerito, per comprendere l'avventura fiumana, che «la via migliore è forse quella di rifarsi alle testimonianze dei legionari letterati, che meglio di tutti hanno saputo coglierli e rievocarli (i fatti storici, ndr) con immediatezza e sensibilità autentiche». In occasione di Fiume città sacra vengono presentate quattro «memorie fiumane» fresche di stampa: Fiume, una grande avventura. Diario 1919-1920 (Bietti) di Carlo Otto Guglielmino, La passione di Fiume (NovaEuropa) di Mario Maria Martini, D'annunzio politico (AGA) di Nino Daniele, L'impresa fiumana (per i tipi della neonata casa editrice Aspis) di Giovanni Host-Venturi. «Memorie fiumane» certo diverse, che contribuiscono ad illuminare gli avvenimenti. Fiume di Guglielmino è il ritratto in presa diretta di un diciottenne, gravido di entusiasmi quanto di spontaneità, dimostrazione inconfutabile della carica giovanile fiumana. La passione di Fiume di Martini, «instant book» ante litteram, lascia trasparire la viscerale attrazione di un aspirante dandy, prossima alla venerazione, per il Comandante. L'impresa fiumana di Host-Venturi è il ripensamento, a mezzo secolo dagli avvenimenti, di un fedelissimo di d'Annunzio, illuso di potere esportare il fiumanesimo fuori da Fiume. Infine, D'annunzio politico di Daniele, mette l'accento su un aspetto della «sinistra fiumana», attratta dal mito della rivoluzione bolscevica. Dunque, le singole memorie sono quattro finestre aperte sulla complessità, spesso contraddittoria, del dannunzianesimo fiumano.
Le visioni politiche a Fiume spaziarono dalla destra nazionalista di Giovanni Giuriati (futuro fascista moderato) alla sinistra sindacalista e rivoluzionaria di Alceste De Ambris (futuro antifascista) alla sinistra estrema bolscevico-futurista di Mario Carli (futuro
fascista intransigente). Insomma, cent'anni dopo si studia finalmente il d'Annunzio fiumano senza pregiudizi, senza paraocchi, senza risposte preconfezionate. Quindi lunga vita al Comandante. Un grande italiano. Finalmente!
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