Pedro Armocida
da Torino
«Sento dire che catalani e baschi sono il cancro della Spagna. Ma siamo tutti spagnoli, senza gli uni e gli altri siamo mutilati». Sembrerebbero parole di oggi. Eppure sono quelle di un famoso discorso di uno dei massimi pensatori spagnoli, Miguel de Unamuno, pronunciato davanti ai militari golpisti il 12 ottobre del 1936 all'Università di Salamanca di cui era rettore, e che risuona alla fine del film Mientras dure la guerra di Alejandro Amenábar, il 47ttenne regista di The Others tornato a girare nel suo Paese dopo Mare dentro, in mezzo ci sono stati i lavori in inglese Agora su Ipazia d'Alessandria e Regression.
Presentato in anteprima italiana al Torino Film Festival, la cui 37esima edizione si sta svolgendo fino a sabato nel capoluogo sabaudo, Finché dura la guerra è, a sorpresa, il film spagnolo più visto dell'anno, ancora nella top ten a ben due mesi dall'uscita con più di 10 milioni di euro. Il tutto curiosamente negli stessi giorni in cui il parlamento spagnolo ha approvato la storica traslazione delle spoglie di Francisco Franco dal mausoleo del Valle de los Caídos.
Costruito tutto, in maniera intelligente, sulla figura di Miguel de Unamuno già anziano (interpretato da Karra Elejalde), Finché dura la guerra racconta gli ultimi mesi di vita del filosofo da un punto di vista personale e intimo. Nel giro di pochi mesi, dall'arrivo dei falangisti nella piazza principale di Salamanca, il 19 giugno 1936, fino al discorso improvvisato a braccio davanti a un imbestialito José Millán-Astray - uno dei generali più vicini a Franco e creatore della Legione Spagnola (il famoso Tercio de Extranjeros) - ai primi di ottobre, Unamuno passa dall'aperto sostegno dei golpisti alla condanna più dura: «Io stesso ho firmato un documento in cui sostenevo la difesa della nostra civiltà cristiana occidentale. Ma mi sono sbagliato, questa è solo una guerra incivile. Con la vostra forza vincerete ma non convincerete. Per convincere bisogna persuadere». Unamuno rischia il linciaggio e viene salvato - trovata geniale di sceneggiatura - dalla mano della moglie di Franco, sua ammiratrice, che lo porta fuori incolume. E sì che per il nuovo capo di Stato (interpretato con straordinaria aderenza da Santi Prego) Unamuno non aveva molta considerazione: «Chi è il Caudillo? Quello dell'Africa? Un pover'uomo...».
Le due «Spagne» eterne si confrontano in quella sanguinosa guerra civile (ci sono anche delle immagini da L'assedio dell'Alcazar del nostro Augusto Genina) e nella testa di Unamuno che dei rossi ricorda la violenza nel dare fuoco alle chiese mentre per quanto riguarda la Repubblica, che aveva sostenuto attaccando la monarchia e Primo de Rivera, ha le idee ancora più chiare: «Dopo che è arrivata non c'è stato né ordine, né pace, né pane, né niente. Io non ho tradito la Repubblica, è la Repubblica che ha tradito me».
Unamuno, l'esponente più importante della già incredibile
Generazione del '98, morirà per un infarto a 72 anni l'ultimo giorno del 1936 continuando ad avere - e il regista del film con lui - un'unica certezza: «Il fascismo e il bolscevismo sono due facce di una stessa infermità mentale».
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