Venezia. Quando arrivano film troppo attesi, soprattutto se sono kolossal, le possibilità sono solo due: o il capolavoro o il flop.
Poi c'è Dune di Denis Villeneuve, presentato ieri fuori concorso alla Mostra di Venezia, un nuovo adattamento del romanzo fantascientifico del 1965 di Frank Herbert, già portato al cinema con risultati - anche lì - tra il sublime e il l'insopportabile, da David Lynch nel 1984, e sognato per una vita intera ma mai realizzato dallo psicomago Alejandro Jodorowsky. Fra i titoli più attesi dell'anno oltre che del festival - nei giorni scorsi la direzione della Mostra ha dovuto fronteggiare le ire social dei fanzinari che non avevano trovato in vendita i biglietti della proiezione ufficiale con il cast... - non si capisce se questo Dune, blockbuster venato da un'indiscussa autorialità, sia dalle parti del flop o da quelle del capolavoro. Per gli appassionati della saga e soprattutto per le legioni di fan di Timothée Chalamet, protagonista del film e divo indiscusso della Mostra (ieri all'arrivo al Lido ha infranto cerimoniale e dispositivi anti-assembramento scavalcando le barriere per incontrare mamme e ragazzine entusiaste) è comunque imperdibile. Tra i critici accreditati invece si disquisisce fra il film ambizioso, coraggioso, eccessivo... Per qualcuno, pochi, un polpettone, per altri, tanti, monumentale. Insomma un film bellissimo ma noioso, o noioso ma bellissimo. Ma soprattutto incompiuto. In senso tecnico: il film è più correttamente Dune 1, cioè la prima parte. La seconda è in cantiere (del resto il ciclo di «Dune» di Herbert è lungo sei romanzi...), anche se ieri il regista ha glissato: «Se ci sarà un secondo film? Non sono io che devo fare bilanci ma alla Warner sono molto orgogliosi del risultato, vedremo come andrà col pubblico, sono tempi difficili per tutti».
E così, rieccoci nel futuro, quello sì difficilissimo, dell'anno 10191, sul pianeta Arrakis, conteso tra la dinastia degli Atreides e quella degli Harkonnen. Arrakis è una landa desertica (anche se perfetta per un'ambientazione cinematografica che definire spettacolare è poco: le riprese sono state effettuate in Ungheria e Giordania), abitata da una civiltà guerriera, i Fremen, e per di più infestata da giganteschi vermi assassini lunghi fino a 400 metri. Ma che è l'unico luogo di produzione del «Melange», o «Spezia», una preziosissima sostanza fondamentale per la struttura della società galattica... Risorse energetiche, sfide tra supernazioni, disastri ambientali, autodeterminazione dei popoli... Tutto antichissimo, tutto fantascientifico, tutto contemporaneo. «Con il suo romanzo Herbert negli anni '60 fece un ritratto del XX secolo che è diventato una previsione di quello che è accaduto nel XXI - ha detto ieri Villeneuve, regista a suo agio con la fantascienza: suoi Arrival e il sequel di Blade Runner -. I pericoli della commistione tra religione e politica, gli effetti del colonialismo, le figure messianiche, i problemi ecologici: io ho letto Dune da bambino, ho continuato a leggerlo negli anni e mi è sembra che diventi sempre più attuale. Forse ora è il momento di arrabbiarsi e imporre dei cambiamenti». Certo, una produzione così aiuterà la causa.
Innanzitutto, il cast. Stellare, parlando di Dune. Rebecca Ferguson, Oscar Isaac (qui al Lido con ben tre film, e già in predicato di Coppa Volpi per la sua prova in The Card Counter di Paul Schrader, passato l'altro ieri), e poi Josh Brolin, Stellan Skarsgård, Javier Bardem, l'astro nascente Zendaya - protagonista predestinata del sequel prossimo venturo - e appunto Timothée Chalamet, innegabilmente bravissimo nel ruolo del Prescelto, l'eroe Paul Atreides, nato per andare incontro a un destino più grande della sua immaginazione e assicurare un futuro alla propria dinastia e al proprio popolo. Due le missioni, insomma, del giovane Chalamet: salvaguardare l'equilibrio dell'universo e lanciare il film al botteghino da qui all'uscita in sala, il 16 settembre.
E per il resto, eccolo qui Dune: due ore e mezza di immagini straordinarie, un'epopea tanto intricata da seguire quanto magnifica da vedere, interpretazioni impeccabili, musica martellante (fin troppo) di Hans Zimmer, effetti speciali di ultimissima generazione tra elicotteri-libellula e tempeste di sabbia apocalittiche (anche se qualcuno si è dispiaciuto per la presenza troppo sottotraccia dei vermoni...). Comunque un superfilm 4.0, da vedere. Ma in sala.
Il regista ieri è stato chiaro: «Dune è un film sognato pensando al cinema. Abbiamo voluto offrire un'esperienza fisica, un'immersione in una realtà completa. E ciò accade solo sul grande schermo». È vero. I film da streaming sono altri.
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