Angelo Guglielmi ha unito l'alto e il basso, la cultura e l'intrattenimento, attribuendo pari importanza al «cosa si dice» e al «come si dice». Il problema è che poi ha vinto il basso, anzi: il rasoterra. Come direttore di Raitre, ha ampliato il vocabolario della televisione; ha sdoganato nuovi modi di proporre il balletto, la satira, i talk show; ha previsto il reality; si è spinto verso il futuro con il Blob postmoderno che anticipava la comunicazione frammentaria e ironica della nascente Rete. Innovare era il suo tratto distintivo, fin dal tempo della avanguardia letteraria, il Gruppo 63. Il critico militante Guglielmi, con Edoardo Sanguineti e Umberto Eco tra gli altri, svalutava l'impegno (troppo) dichiarato e il «noioso» realismo a vantaggio della libertà dei contenuti e della forma. Si pensi a Fratelli d'Italia di Alberto Arbasino, romanzo-palinsesto, da leggere dall'inizio alla fine ma anche aprendo a caso, con una trama evanescente e uno stile sperimentale. Il rovescio della medaglia era l'individuazione di bersagli polemici spesso sbagliati. Il Gruppo 63 criticò aspramente, ad esempio, il popolare Carlo Cassola o il manzoniano Giorgio Bassani. Risultato: Cassola e soprattutto Bassani sono ormai classici, al contrario della maggior parte degli aderenti al Gruppo 63, svanita nel nulla. Ampliare genialmente il linguaggio della cultura non significava aumentarne anche la libertà, specie nella televisione pubblica dove il pluralismo era (ed è) scoraggiato da un sistema fondato sulla lottizzazione. Tutto o quasi poteva essere fatto. Tutto però doveva essere fatto in un certo modo vale a dire un certo modo di sinistra. Meno stantio, meno bigotto, più frivolo ma comunque dalla parte giusta. Per questo, l'eredità di Guglielmi è insieme gloriosa e inconcludente. Infatti è Guglielmi ad aver aperto la strada al populismo tv, all'informazione più schierata, alla satira a senso unico quindi servile, alla cultura cortigiana, ossequiosa con il Partito o il Principe di turno. Guglielmi ha lanciato, tra gli altri, Michele Santoro, Serena Dandini, Fabio Fazio, Corrado Augias. Al suo magistero (diretto o indiretto) dobbiamo le gogne in piazza, le risse nei talk, le risate rigorosamente radical chic, le interviste accondiscendenti, la cultura del conformismo spicciolo. Il rasoterra, appunto. Il telegiornale simbolo di Raitre, quello diretto da Sandro Curzi, è passato alla storia come TeleKabul. Il nomignolo nasce per sottolineare il caos in redazione, ma finisce con l'indicare l'appiattimento sulle posizioni del Partito comunista, con critiche rare e comunque provenienti dalla famiglia allargata della sinistra.
Quando arrivò Guglielmi, Raitre era ancora un canale senza una identità precisa. Guglielmi gliene diede una forte. I suoi discepoli non hanno avuto la stessa apertura mentale, e Raitre, invece di evolversi, è diventata un santuario del pensiero unico, sempre più inutile e malfrequentato.
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