Hikmet, comunista scomodo. Amava le donne e non Stalin

Nel romanzo di Nedim Gürsel il grande poeta turco è descritto come un borghese piccolo ma sovversivo

Hikmet, comunista scomodo. Amava le donne e non Stalin

Mi sono chiesto spesso come è stato possibile che i maggiori poeti d'amore del secolo scorso abbiano amato Stalin. Ma lo amavano davvero? Una risposta alla mia domanda la trovo in questo appassionante romanzo di Nedim Gürsel (L'angelo rosso, Ponte alle Grazie, pagg. 325, euro 24) imperniato sulla figura di una gloria della letteratura del suo paese, la Turchia, così sempre più importante sulla scena del mondo: Nazim Hikmet. Non è una biografia romanzata, ha un disegno più complesso e attuale, mescolando invenzione e storia, fiction e saggistica. E Nazim Hikmet vi compare per quel grandissimo poeta che fu, ma nella complessità travagliata delle sue esperienze in quanto perseguitato politico, esule e comunista dichiaratamente fedele a Mosca.

Nella prima parte del romanzo uno scrittore, cui ormai interessa più la ricerca che la rivoluzione, arriva a Berlino convocato da un messaggio misterioso che gli promette documenti scottanti e rivelazioni su Hikmet, il poeta cui ha votato la sua vita. L'arrivo nella Berlino unificata di oggi è il pretesto per una cavalcata nella memoria di quando la città era divisa dal Muro, e per una serie di considerazioni su un secolo non proprio breve, che va dalla Rivoluzione d'Ottobre alla caduta del Muro, è vero, ma le cui ferite continuano a non chiudersi e a far male. Accidenti a te, Novecento: in questa esclamazione se ne esce lo scrittore, inveendo contro un secolo che ha lasciato morire e torturare i poeti, che ha creato prigioni a cielo aperto come fu la Germania dell'Est sotto il tallone della Stasi, la famigerata polizia politica, che ha costretto gli uomini a spaventose obbedienze e viltà di fronte a regimi oppressivi. La terza parte del libro mette in scena la spia della Stasi che ha scritto e consegnato i documenti, un uomo alto, magro, con una palandrana nera, omosessuale, fumatore, frequentatore di bordelli dove incontra Ipek, antico amore invano cercata dallo scrittore, con un passato di nequizie insopportabili (ha venduto alla polizia segreta persino un amato nipote) e un presente disperato.

Tra le due parti, che Nedim Gürsel tiene abilmente insieme nella drammaticità di un passato da svelare man mano, ci sono un centinaio di pagine che riproducono anche tipograficamente i documenti che la spia della Stasi ha passato dopo diverse peripezie allo scrittore. E lì assistiamo, nella prosa un po' burocratica un po' contorta di un dossier di spionaggio, al capovolgimento di fronte intorno a Hikmet, Sair Baba, il Poeta Padre, il gigante biondo dagli occhi azzurri, l'icona dei comunisti turchi. Il poeta non viene mai messo in discussione, ma il comunista sì. La spia, che si firma Diavolo o Angelo tanta è la sua ambiguità, descrive Hikmet come un piccolo borghese (definizione che nel comunismo reale poteva valere una deportazione in Siberia), un agente provocatore, un traditore sovversivo nemico del regime, uno che in viaggio in Ungheria raccontava barzellette sui dirigenti comunisti, che considerava i Magiari un popolo fratello, un nazionalista che a Baku invitava gli Azeri a parlare la lingua madre, il turco, uno che contava sull'appoggio di Sartre, un «nano» nemico dell'Urss.

Hikmet era un trotskista in pectore, un debole che aveva riempito le sette stanze della sua dacia di Peredelkino di oggetti per vincere il ricordo doloroso delle pareti vuote della cella del carcere dove aveva passato tento tempo. Insomma viene visto in una prospettiva capovolta, che in realtà può finire per illuminare il poeta di luce nuova. Dunque non aveva amato Stalin? Davvero lo giudicava in privato megalomane e ignorante? La vita amorosa del poeta che, nonostante fosse gravemente malato di cuore, «non se ne lasciava scappare una», è costellata di passioni travolgenti, l'ultima per Vera Tulyakova, trent'anni più giovane di lui, che sposò in tardive nozze su cui Galina, la spia del Kgb sua amante per tanti anni invocò la maledizione di Allah. Da questi contorti dossier vien fuori che Hikmet fu un comunista eterodosso e sentimentale, che voleva rispondere a domande essenziali come: «quando la gente sulla terra smetterà di aver fame», o «quando nessuno ruberà più la speranza a un altro». Che capì in tempo che se il mondo non fosse mortale, non ci sarebbero la poesia e i poeti.

E che, tra sofferenze terribili, mantenne lo spirito così vivo da scrivere «Quante belle donne ci sono al mondo/ quante belle ragazze:/ affacciati dal balcone dell'albergo/ e ammirale, vecchio». Loro sì, Stalin mai, sono degne d'amore.

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