Homecoming, la serie tv con Julia Roberts è un thriller dalle tinte noir

Dopo Maniac ecco Homecoming, un thriller psicologico con elementi noir che segna l’esordio da protagonista in una serie tv per Julia Roberts

Homecoming, la serie tv con Julia Roberts è un thriller dalle tinte noir

Homecoming conferma la qualità dei lavori originali targati Prime video, che ancora una volta presenta una serie tv di successo per trama, interpretazioni ed estetica.

La serie è diretta e prodotta da Sam Esmail, già ideatore di Mr. Robot, ed ha come interpreti principali Julia Roberts, per la prima volta protagonista di una serie tv, e un grande Bobby Cannavale, in una delle sue migliori interpretazione insieme a Boardwalk Empire e Blue Jasmine.

Homecoming parla di un progetto di reinserimento nella società civile di soldati tornati in patria dopo missioni che hanno causato loro dei traumi. In apparenza quindi l’Homecoming Transitional Support Center, con sede in Florida, e diretto dalla psicologa Heidi Bergman (Julia Roberts), è una struttura che svolge un lavoro socialmente utile e senza secondi fini. Ovviamente così non è. Dietro le attività di facciata si nascondono le intenzioni della Geist, multinazionale che vuole allargarsi nel settore bellico e particolarmente interessata ai ricordi dei soldati. A cercare di smascherare le intenzioni della Geist ci sarà il lavoro di un instancabile impiegato del Dipartimento della Difesa (Shea Whigham), un ingranaggio di una complessa macchina che preso singolarmente è inutile, ma che nel complesso fa la differenza.

Tutti abbiamo bisogno di ricordi che ci rammentino chi siamo, io non sono diverso”. Questa è una citazione del film Memento, uno dei primi lavori di Christopher Nolan ed uno dei più riusciti racconti incentrati sull’importanza dei ricordi. Homecoming non si allontana molto dal concetto espresso dal film di Nolan: i ricordi ci determinano, ma in questo caso dimenticare aiuta ad andare avanti.

Oltre all’accostamento con Memento, visto l’argomento trattato, cioè i ricordi che tormentano la vita del paziente, viene da pensare anche ad un’altra serie tv che di recente ha riscosso molto successo: Maniac. Seppur vicine per la trama di base, la differenza tra Homecoming e Maniac è nell’estetica di ciascun episodio, nell’approccio con l’evento scatenante la sofferenza nel paziente, oltre che nella trattazione distopica. Due modi per raccontare problemi simili, arrivando poi a conclusioni diverse.

Homecoming rientra quindi nel genere dei thriller psicologici, caratterizzato però da piacevoli tinte noir. Molti sono i richiami stilistici che ricordano film noir e gialli alla Hitchcock: dalle inquadrature, alla colonna sonora, fino a particolari quali il cognome della protagonista, Bergman, come la grande Ingrid, una delle attrici più significative dei film di Hitchcock.

Un aspetto da non sottovalutare è la durata degli episodi di questa serie. Un andamento che va in crescendo, di pari passo con la curiosità dello spettatore. Le prime puntate sono sotto i 30 minuti, presentando la trama in tutti quegli aspetti che possono annoiare, ma che sono propedeutici per la comprensione della storia. Avanzando gli episodi arrivano quasi a 40 minuti, cioè proprio quando si inizia a fare sul serio e si vuole conoscere fino in fondo il mistero di Homecoming.

Tirando le somme su Homecoming, possiamo dire che ha saputo valorizzare la sua storia grazie alla mutevole durata degli episodi ed all’interpretazione dei suoi protagonisti, regalandoci un thriller che sembra un noir, un genere che difficilmente vediamo tra le serie tv

di oggi. Homecoming, come anticipato dal regista Sam Esmail, avrà una seconda stagione: nella scena dopo i titoli di coda dell’ultimo episodio della prima stagione c’è un indizio di quello che ci aspetta nei nuovi episodi.

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