I "Cahiers du Cinéma" di governo racconteranno tutto un altro film

La storica rivista è ormai nelle mani di imprenditori vicini a Macron

Parigi. Il titolo dell'ultimo editoriale non lascia spazio alle interpretazioni: «The End». Perché è giunta la fine di una certa idea dei Cahiers du cinéma, la bibbia della cinefilia parigina, acquistati a fine gennaio da una cordata di uomini d'affari e produttori vicini al governo e con interessi pesanti nell'industria cinematografica, che vuole trasformare la mitica rivista della Nouvelle Vague in un magazine fighetto e consensuale, mettendo da parte la politica degli autori degli inizi, quella dei «giovani turchi» Truffaut, Godard, Rohmer. «Ci hanno annunciato la creazione di una rivista chic, conviviale e ricentrata sul cinema francese. Va da sé che i Cahiers non sono mai stati nessuna di queste tre cose. I Cahiers si sono sempre fatti beffa dello chic e del pacchiano. Non sono mai stati una piattaforma di dibatti pro/contro: la salute dei Cahiers è la loro virulenza, fermamente al servizio della difesa di idee, passioni e convinzioni. I Cahiers sono sempre stati aperti sul mondo», ha scritto Stéphane Delorme, ormai ex direttore della rivista fondata nel 1951 da André Bazin.

Il 27 febbraio, Delorme e gli altri redattori si sono dimessi, perché la loro «indipendenza editoriale» non sarebbe più stata garantita con l'ingresso di figure come Pascal Caucheteux, produttore di Un prophète di Jacques Audiard e di altre pellicole di primo piano che ogni anno vengono selezionate a Cannes. Come sfuggire al rischio di conflitto di interessi? Come sentirsi liberi di criticare un film quando il proprietario della rivista per cui si scrive è colui che lo ha finanziato? «È una questione di principio», ha sottolineato Delorme: la libertà e l'indipendenza sono la linfa dei Cahiers e le posizioni estetiche sono sempre state legate a quelle politiche. C'è infatti un'altra questione che ha spinto la redazione ad appoggiare la penna sul tavolo: come sarebbe stato possibile continuare a difendere la propria linea di pensiero, radicalmente anti-Macron e pro-gilet gialli, avendo tra gli azionisti Xavier Niel, proprietario del colosso della telefonia Iliad, e Marc Simoncini, fondatore del sito di incontri Meetic, grandi amici dell'inquilino dell'Eliseo?

La nuova proprietà ha già fatto sapere chi vorrebbe per sostituire Delorme e la sua banda di insubordinati. Secondo le informazioni del Monde, il preferito per la direzione è Marcos Uzal, che attualmente lavora a Libération e, stando ad alcune voci, starebbe già preparando il numero di maggio assieme alla nuova squadra. Ma alla regia della rivoluzione (involuzione?) dei Cahiers du Cinéma, spicca fra tutti Antoine de Baecque, veterano della critica cinematografia francese ed ex patron della rivista. È lui, secondo Le Monde, ad aver convinto gli editori a sposare il suo progetto, forzando l'uscita di scena di una redazione che giudica «ripiegata su una linea editoriale settaria e moralizzatrice». Quella in corso, in fondo, è anche la guerra tra conservatori e modernisti, tra chi non vuole sacrificare la propria identità sull'altare del mercato e del nuovo mondo, e chi invece non si fa troppi scrupoli a soprassedere sull'indipendenza e l'exception culturelle dei Cahiers, pur di avere il controllo del santuario della cinefilia francese. «I Cahiers diventeranno un magazine di promozione dell'arte mainstream, la casa del consenso del cinema francese?», si è chiesto preoccupato il celebre critico cinematografico del New Yorker, Richard Brody, autore di una biografia molto apprezzata di Godard. Le Monde, abitualmente equilibrato, non ha esitato a parlare di «psicodramma». Di certo, è una situazione inedita, che i Cahiers non avevano mai conosciuto. Delorme e il suo vice, Jean-Philippe Tessé, avevano assunto la direzione nel 2009, con l'obiettivo di riportarli alle origini, quando una generazione di gioiosi cinefili irruppe sulla scena per mandare in pensione il cinema francese tradizionale. «Siamo attratti dalle persone ai margini, dalle persone audaci», ha spiegato Tessé, ostile alla «standardizzazione del cinema d'autore». Ma per la loro visione romantica dell'autorialità non ci sarà più spazio.

Dopo i Césars più discussi e tormentati di sempre, in ragione del trionfo di Roman Polanski tra le urla di indignazione delle femministe, e la cancellazione del Festival di Cannes a causa del Coronavirus, la burrasca che si sta abbattendo sui Cahiers è soltanto l'ultima malinconica notizia di un annus horribilis per la settima arte in Francia.

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