da Cannes
Ahmed è un ragazzino, in quell'età che è una terra di nessuno. Non ancora uomo. Non più bambino. Tutto appare fuori luogo. La mamma. L'insegnante. L'amicizia. Nemici provvisori destinati a cadere nelle trincee della vita. E per Ahmed la guerra è una sola. Allah. Jihad. Quel profilo mediorientale in una famiglia belga vuol essere il volto dell'Islam quotidiano. Il musulmano credente e professante come onesto. Concetti in lite. Ritmi sospesi. E il ragazzo accoltella la prof. «Il Corano dice che non posso stringere la mano a una donna». Si ritrova in una fattoria a svolgere un servizio civile come riparazione e conosce una coetanea che si invaghisce di lui. Anche il bacio è un tabù. Un'altra trincea. Come l'incontro con la sua vittima. La madre che lo spedisce dallo psicologo. L'imam che tenta di nasconderlo. Il giovane Ahmed di Jean Pierre e Luc Dardenne, in concorso a Cannes, è opera che divide. Almeno nella prima parte.
Un prolungato applauso finale con i registi al microfono mostra che l'intento di ravvedimento, poi attribuito al protagonista, è preferito all'astio, trasparente nella prima metà abbondante della narrazione. Una sterzata che mette le cose a posto e ipotizza come possibile una convivenza, da costruire sulle basi di un'educazione e una civiltà capace di sconfiggere l'integralismo. Ahmed è il braccio armato pure nella ristretta comunità islamica locale oltre che il perfetto nemico della porta accanto.
Subliminale traditore che estrae a sorpresa il coltello dalla tasca, e con il buonsenso ferisce la società. I Dardenne confermano la loro attenzione al mistero dell'essere umano. Dopo Rosetta che a Cannes vinse vent'anni fa, una nuova figura di adolescente per guardare la gioventù. Ma con inquieta fiducia.
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