Identikit delle donne che si convertono alla religione islamica

Le occidentali cercano nella nuova fede la tradizione che noi abbiamo abbandonato. Il saggio di Virginie Riva

Identikit delle donne che si convertono alla religione islamica

Il segnale l'ha dato nel 2010 God Is Back (Dio è tornato). Già il titolo del libro di Micklethwait e Wooldridge, ma soprattutto la sua massiccia documentazione, segnalavano che sul pianeta la secolarizzazione, la progressiva separazione dell'uomo da Dio e dal sacro era ormai storia vecchia, un sogno (forse un incubo) di ieri. Sopravviveva, a stento, giusto in Europa e nord America. Le tendenze però delle nuove generazioni sembrano ora archiviarlo perfino nella vecchia roccaforte dell'Ancien Régime, l'Europa che rabbrividisce solo a sentir parlare delle sue ascendenze religiose ebraiche e cristiane. Anche qui le religioni incontrano ora un nuovo interesse, anche se spesso fuori dalle Chiese. Ma chi cresce di più sono i vari gruppi musulmani, che agli attuali tassi di crescita raggiungerebbero nel mondo, verso la metà del secolo, il numero dei cristiani, la religione oggi più numerosa.

A convertirsi all'Islam sono sempre più spesso le donne, in Europa come negli Stati Uniti. Anche nella Francia dei diritti civili e di un femminismo studioso, e nella cattolica Italia, le convertite donne sono almeno il 5% più numerose degli uomini. Come mai una religione che attribuisce tuttora all'uomo un ruolo predominante viene scelta soprattutto dalle donne? Le convertite all'Islam rappresentano ormai un gruppo sociale non immenso, ma neppure irrilevante: circa 50 mila persone in Italia, il doppio in Francia. E aumentano. Chi sono queste donne, e perché si convertono all'Islam ?

Le loro storie compaiono, sorprendendo il lettore, nel libro Converties di Virginie Riva, giornalista e sociologa delle religioni (Seuil). Appartengono un po' a tutte le classi sociali, vengono dalle banlieues come dai quartieri eleganti, da Parigi, Lione e Marsiglia come da centri modesti. Le famiglie di origine sono per lo più cattoliche, ma spesso non praticanti. Le loro storie sono un'altra smentita bruciante alla tesi della morte di Dio. Queste ex ragazze, oggi spesso donne dai 30 ai 45 anni, raccontano infatti di infanzie e adolescenze con un interesse religioso forte, ma non preso sul serio dalle famiglie, che preferivano scantonare dalle domande impegnative.

Altrettanto ambiguo era, per le ragazzine curiose che escono dai racconti, il ruolo che la società republicaine riservava alla donna. Mentre si avviavano con gli studi a carriere di amministratrici pubbliche o di professioniste, diverse di loro sono state colpite invece dall'affermazione, diffusa nei libri e giornali di cultura islamica, che «la donna è il pilastro della società e l'asse più importante della famiglia musulmana. È lei il primo educatore delle nuove generazioni». Quasi tutte raccontano, in modi diversi, l'interesse per quest'affermazione netta e ferma, molto diversa dalla liquidità delle varie idee sulla donna presentate in famiglia o a scuola, secondo loro ambigue e spesso confuse.

Pur avendo poi storie professionali tutt'altro che deboli, sono state nell'insieme conquistate dallo stile assertivo dell'Islam religioso ufficiale (non quello politico, verso il quale esprimono forti riserve, e spesso fastidio), e dalla sua dichiarata devozione verso la donna. Che non stupisce chi abbia minimamente frequentato davvero le case islamiche, nelle quali la donna ha in effetti un ruolo centrale. La prima a raccontarle era stata del resto una donna, Vittoria Alliata - principessa e sorella della femminista Dacia Maraini- nel suo libro autobiografico Harem che raggiunse subito le 100 mila copie, ma che, giudicato politicamente scorrettissimo per la sua descrizione della realtà, molto diversa da quella fornita dal mainstream, è stato da tempo espulso dal mercato (e ricercatissimo su ebay).

In Francia, dove gli islamici sono oltre il 7,5% della popolazione è però frequente che le ragazze nei quartieri o a scuola abbiano amiche o compagne islamiche (come è capitato a diverse di queste donne convertite), e sviluppino quindi uno sguardo personale sulla realtà di quel mondo. Oltre alla centralità della donna madre, vengono così spesso interessate dal comportamento dei ragazzi islamici. Che trovano spesso molto più rispettosi verso le ragazze dei loro coetanei delle altre religioni, o atei. Più disposti ad aspettare nella sessualità, pronti a interromperla durante il ramadan, ma anche dopo, quando (spesso) la donna avanza nel percorso di islamizzazione e preferisce allora sospendere i rapporti sessuali fino a dopo la conversione e il matrimonio ufficiale. Queste donne (ma anche, raccontano, spesso i loro mariti) vivono le nozze non come un contratto tra i due, ma come un «atto di adorazione» verso Dio, cui viene offerto il matrimonio. Che comunque, raccontano, nell'Islam non può essere interrotto col divorzio dall'uomo, ma dalla donna, cosa che le conferma nell'idea di una religione più favorevole alle donne di quanto si dica.

Al di là del rapporto uomo-donna però, di cui hanno un vissuto quasi opposto a quello raccontato dalla maggior parte dei media, queste donne dicono di essere state conquistate anche dal calore che trovano nelle famiglie musulmane e nelle feste in cui le famiglie si riuniscono. (Anche dai racconti fatti all'analista emerge questa stessa impressione). Quasi tutte ricordano la commozione che le ha prese quando (non ancora convertite, e spesso lontano dall'Islam), hanno assistito a una festa di famiglia islamica. Il salto dal clima spesso freddino della famiglia nucleare europea a quella allargata nordafricana, con i suoi riti e le sue emozioni, ha avuto su queste bambine o adolescenti parigine o della provincia francese un effetto profondo.

Decisiva è stata comunque la differenza nella spiritualità, che è poi il loro interesse più profondo, al di là del fidanzato o marito. Nell'atmosfera incerta e confusa dell'Europa postmoderna queste donne vogliono sapere con chiarezza dalla religione cosa devono fare, quale è la loro funzione e il loro posto nel mondo. Come dice una di esse: per me «Il Corano è come il Codice della strada». Con il vantaggio però che «non ci sono curve, e non si può tornare indietro. Mi dice cosa devo dire, come mi devo comportare, a casa mia, coi bambini. È una religione molto stretta, rispetto al cristianesimo è molto più dura». Chi sosteneva che il cristianesimo era troppo esigente, soprattutto con le donne? A queste donne il rigore piace.

Fino a quando? Non sappiamo. In America, paese consumista, molte conversioni sono durate poco. Molte di queste, invece, durano già da un pezzo.

Tra le motivazioni, in queste ex cattoliche o protestanti, c'è anche la speranza di poter educare i loro figli in una religione che ha una precisa idea della vita e dei rapporti. È in ballo il progetto di un futuro. Non si sa quanto corrispondente alla «laicità repubblicana» cui si riferisce Francois Hollande.

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