Integralismo e dittatura Torna la serie di culto sulle «ancelle» oppresse

In «The Handmaid's Tale» le donne reagiscono alle violenze di regime. Diventando un simbolo

Integralismo e dittatura Torna la serie di culto sulle «ancelle» oppresse
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da Los Angeles

A meno di 24 ore dall'uscita negli States arriva in Italia (su Timvision da oggi e ogni giovedì, una puntata la settimana per 13 settimane) l'attesissima seconda stagione di The Handmaid's Tale, la serie vincitrice di otto Emmy Awards e due Golden Globe e ispirata all'omonimo romanzo di Margaret Atwood uscito in Italia con il titolo Il racconto dell'ancella.

La seconda stagione sarà focalizzata sulla gravidanza di Juno/Difred, interpretata dalla bravissima Elisabeth Moss, e sulla volontà di proteggere il suo bambino dalle terribili atrocità del regime di Gilead, lo Stato totalitario, militarizzato e misogino che ha trasformato le donne in oggetti di proprietà del regime, privandole di qualsiasi diritto. La Moss, vincitrice di Emmy e Golden Globe come miglior attrice protagonista in una serie drammatica per la sua interpretazione nella prima stagione, è anche produttrice esecutiva. «Il bambino che cresce in Juno è una bomba a orologeria dice l'attrice -. Avere un figlio è una cosa stupenda, ma Juno sa che sarebbe costretto a vivere in un mondo orribile, che le sarà portato via e che non potrà essere sua madre».

I temi toccati in questo racconto sono importanti: il totalitarismo, il fondamentalismo religioso, le disparità di genere, ma forse il tema più importante della seconda stagione è quello che riguarda l'immigrazione. Attraverso gli occhi di quei ribelli che sono riusciti a fuggire e a rifugiarsi in Canada sarà infatti raccontata la vita di chi è costretto a vivere lontano dalla sua terra.

Fra essi c'è Moira, interpretata da Samira Wiley, che il pubblico ricorderà in Orange is the new black. «Moira è una rifugiata, anche questo è un aspetto importante della storia che raccontiamo in questa seconda stagione dice l'attrice -. Moira è al sicuro ormai ma per lei è comunque tutto difficile perché è in terra straniera. Fin dall'inizio sapevamo che stavamo facendo qualcosa di importante ma vedere il successo di questa serie, l'impatto che ha avuto nel mondo e nelle coscienze è stato inaspettato, è qualcosa che ci ha fatto sentire il peso della responsabilità, certo, ma soprattutto ci ha fatto sentire orgogliosi. Vedere donne vestite con i costumi rossi delle ancelle alla Marcia delle Donne, lo scorso marzo, sentire Hillary Clinton nominare il nostro show ci ha davvero inorgoglito e spronato a continuare».

Un'altra importante novità della seconda stagione sarà rappresentata dal racconto della vita nelle «colonie», i territori contaminati dove le cosiddette «non donne» vengono recluse con il solo scopo di eliminare le radiazioni dal terreno: qui, la speranza di vita varia dai sei mesi ad un massimo di due anni.

Proprio in questi nuovi territori, inesplorati anche da Margaret Atwood nel romanzo, sarà protagonista la new entry Marisa Tomei, vincitrice di un Oscar per il film cult Mio cugino Vincenzo. «Non è vero, come molti dicono, che stiamo andando oltre il libro spiega però Bruce Miller, autore della trasposizione televisiva del racconto - nel romanzo la storia comincia, fa un salto in avanti di 200 anni, per poi concludersi con una discussione accademica riguardo cosa sia successo in questo periodo di tempo. Noi non andremo oltre il libro, stiamo solo raccontando più lentamente quello che Margaret ha descritto». La Econo class, ad esempio, un'altra classe sociale del mondo distopico della Atwood sarà esplorata in questo secondo capitolo. «È una classe sociale molto più grande di quella dei Commanders che abbiamo conosciuto nel corso della prima stagione dice Warren Littlefield, produttore esecutivo della serie attraverso queste esplorazioni e i numerosi flashback capiremo come lo stato totalitario di Gilead, che occupa ormai buona parte del territorio degli Stati Uniti, è arrivato a diventare quello che è.

Uno di questi flashback, ad esempio, racconterà di quando la popolazione si è resa conto con terrore che un regime terribile stava per prendere il potere nella loro patria. Si vedrà l'aeroporto di Boston preso d'assalto da centinaia di migliaia di persone che cercheranno di lasciare il paese». La drammaticità del racconto però non deve ingannare, spiega il produttore, il messaggio che The Handmaid's Tale vuole lasciare è un messaggio di speranza.

«Il racconto è drammatico ma, man mano che si dipana, diventa sempre più facile scorgere messaggi di speranza. June e le altre ragazze, la loro voglia di sopravvivere e lottare, il loro coraggio, sono quel raggio di speranza, essenziale per la nostra storia».

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