E rieccoci con l'ennesima saga (ormai si è perso il conteggio) indirizzata ad un pubblico young adult, che sfrutta il solito filone del futuro distopico introducendo, almeno, una interessante (sulla carta) riflessione filosofica, sviluppata, però, in maniera sciapa e banale. Tutto nasce, nel '93, dalla penna di Lois Lowry, che diede forma al primo romanzo (questo film ne è la trasposizione) della quadrilogia de Il mondo di Jonas che ha ispirato tutto il ramo distopico giovanile, a partire dagli acclamati Hunger Games e Divergent.
È giusto privare gli uomini della loro capacità di scelta, rimuovendone sentimenti e emozioni, sull'altare di una pace duratura? Una comunità dove le differenze sono state eliminate, così come ogni memoria del passato storico. Per non parlare degli impulsi sessuali, annientati da una puntura quotidiana che tutto inibisce. Una bella noia, suggellata solo da sfumature di colori grigi; ma vuoi mettere non avere più guerre, omicidi, povertà?
Il sedicenne Jonas (nel libro era dodicenne) vive con genitori assegnati, linguaggio appropriato e un posto nel mondo deciso dal consiglio degli anziani, capeggiato da una Meryl Streep con orribile parrucca grigia. A lui viene assegnato il ruolo più delicato, quello di accoglitore, colui, cioè, chiamato a conservare (ma non condividere) la memoria e i sentimenti degli esseri umani. Gli farà da mentore il donatore Jeff Bridges (attraverso immagini flashback girate come i filmini delle vacanze) e la presa di coscienza, per il ragazzo, sarà devastante.
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