Kurt Cobain moriva 25 anni fa. Il frontman dei Nirvana, anima oscura e geniale del grunge, avrebbe 52 anni se i suoi tormenti non lo avessero portato a togliersi la vita. In occasione di questo triste anniversario, il manager dei Nirvana, Danny Goldberg, è stato ospite di Yahoo Entertainment per raccontate l’ultimo incontro che ebbe con lui prima del suicidio.
Goldberg, amico e confidente di Cobain (negli Usa è spesso soprannominato “Kurt Whisperer”), ha scritto un libro intitolato “Serving the Servant: Remembering Kurt Cobain”, un memoir per condividere ricordi e riflessioni sulla vulnerabile icona di Seattle. Il manager non crede alla tesi secondo la quale Kurt non abbia retto al peso del successo e rivela cosa accadde una settimana prima di quel tragico 5 aprile 1994.
“Ero a New York – racconta Goldberg – e Courtney Love mi chiamò chiedendomi di raggiungerla. Era molto preoccupata per Kurt, diceva che era nelle peggiori condizioni in cui l’avesse mai visto”. A quel punto, lui e Janet Billig Rich, altra manager della Gold Mountain Entertainment, si precipitarono a Seattle, nella casa di Cobain e moglie.
"Kurt – aggiunge Goldberg – si arrabbiò molto per quella visita improvvisa: era davvero strafatto, sentiva di esser stato vittima di un’imboscata e invaso nell’intimità da persone che volevano insegnargli come doversi comportare”. Fu in particolare un gesto della Billig a mandare il leader dei Nirvana su tutte le furie: la manager prese una delle dosi d’eroina che erano sul tavolo del soggiorno e la gettò nel water.
Kurt Cobain, 25 anni fa il suicidio: parla il manager
Oggi Goldberg non si sente in colpa per quanto sarebbe accaduto soltanto una settimana dopo. “Il mio messaggio – spiega – era solo: 'Qualunque cosa ti stia tormentando, non puoi prendere una buona decisione con la tossicodipendenza'. Ripulisciti, e poi qualsiasi cosa tu voglia fare, io ti aiuterò a farla”.
“Avevo fretta di tornare a casa per lavoro – commenta il manager – e ho lasciato che i miei toni fossero dettati dall’impazienza e dalla fragilità del momento. Sembrano sfumature, ma a volte il modo in cui si comunica con qualcuno può cambiare tutto. Spesso non contano le parole, ma il modo in cui le dici...”.
“Forse – confessa Goldberg – se fossi rimasto lì da Kurt ancora per un’ora, avrei trovato qualcosa di intelligente e sensato da aggiungere. O l’avrei portato a fare una passeggiata. È un’idea fissa che da allora mi ronza in testa: avrei potuto fare qualcos’altro per aiutarlo?”. Soltanto quando tornò a casa a New York, Goldberg chiamò Cobain e gli chiese scusa per i toni usati. Kurt al telefono era tranquillo, gli chiese persino di passargli la figlia Katie per salutarla: i due aveva creato un legame particolare.
“Kurt – racconta il manager – le voleva bene, giocavano spesso insieme. Prima della nascita di sua figlia Frances Bean, era come se volesse esercitarsi con lei. Durante quella telefonata, io gli dissi: “Scusami se sono piombato a casa tua a farti la morale. Lo sai che ti voglio bene e voglio solo che tu sia felice, sto soltanto cercando di esseri d’aiuto”. Quella fu l’ultima volta che i due si parlarono: Kurt Cobain si tolse la vita una settimana dopo, il 5 aprile del 1994, a 27 anni, con un colpo di fucile al volto nel deposito degli attrezzi della sua casa di Seattle.
Nonostante siano passati 25 anni, Goldberg prova ancora un dolore fortissimo per quanto accaduto: “Ma fa parte del mistero
della condizione umana e vorrò sempre bene a Kurt. Sono contento che sia stato vivo per quei 27 anni: vorrei che non l’avesse fatto, ma sono felice di averlo conosciuto, e che il mondo abbia conosciuto la sua musica”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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