Segreti coniugali e fantasmi nel thriller "L’apparenza delle cose"

Un matrimonio a prima vista sereno rivela il suo dietro le quinte in un’abitazione infestata da presenze soprannaturali. Un film mai sorprendente ma godibile. Con Amanda Seyfried.

Segreti coniugali e fantasmi nel thriller "L’apparenza delle cose"

L’apparenza delle cose, thriller/horror ispirato all'omonimo romanzo di Elizabeth Brundage, è una delle novità disponibili in streaming di questa settimana. Film targato Netflix Original, con cast di livello a cominciare dalla protagonista Amanda Seyfried, ha nel crogiuolo di sfumature appartenenti ad altri generi cinematografici il suo appeal. L’atmosfera è quella infatti di un racconto che si destreggia tra dramma psicologico, giallo soprannaturale e noir filosofico.

La messa in scena è semplice e suggestiva, arricchita da piccoli tocchi gotici, e l’incipit, per quanto diverso da quello del libro, funzionale alla creazione di un dubbio che sarà risolto solo verso la fine.

Al centro della scena abbiamo una famigliola, ossia due giovani sposi dotati di figlioletta, che da Manhattan si trasferisce nella Hudson Valley, in un piccolo borgo storico circondato da campagna. Lei, Cathy (la Seyfried), accetta il trasferimento per assecondare le aspirazioni lavorative del marito, George (James Norton), entusiasta della nuova cattedra di professore in un college locale. La vecchia fattoria in cui si stabiliscono è stata luogo di un fatto assai sinistro, ma la donna non ne è a conoscenza; il marito lo ha taciuto di proposito, visto che lei appare già logorata per una serie di motivi personali, tra cui proprio alcune negligenze del coniuge. Il malessere di Cathy si acuisce di giorno in giorno per il crescente numero di stranezze che avvengono in casa: sparizioni di oggetti, gelide folate di vento e visioni sinistre.

A livello narrativo il film è in gran parte prevedibile, eppure riesce a esserlo senza risultare noioso. La tensione è ben costruita grazie a piccoli fenomeni paranormali che rendono palpabile la presenza costante di qualcosa o qualcuno che sembra appartenere a una dimensione ultraterrena. Eppure non è il film adatto a chi cerchi spaventi derivati da fantasmi e simili.

Ne “L’apparenza delle cose”, infatti, a far sentire a disagio in termini di sicurezza personale è la continua allusione al fatto che qualsiasi cosa possiamo ammirare nel girato, da una forma fisica longilinea a un matrimonio felice, da una collezione di acquarelli alla parete a una festa casalinga riuscita, sia uno sfoggio di armonia che sostanzialmente nasconde un bluff.

La sceneggiatura lascia intuire voragini nella psiche dei protagonisti senza mai cadere nella spiegazione didascalica, sia che si tratti del disturbo alimentare che tiene in scacco la perfetta e amorevole mogliettina, sia che riguardi la patologia narcisistica di quell’impostore sorridente e affascinante del marito.

Ci viene mostrato come non bastino quattro pareti rimesse a nuovo, un peso forma ritrovato o un coniuge di charme a ridipingere la vita e ad escluderne le parti spiacevoli. Siamo obbligati, da spettatori, a girare il ricamo di certe esistenze e a osservare i viluppi scomposti sottostanti la loro perfezione; così come siamo invitati a chiederci chi siano i veri mostri: malvagie entità trapassate, persone vicine particolarmente pericolose o, ancora, nostri demoni interiori?

Ad essere interessanti e spaventosi, durante la visione, sono i comportamenti umani, l’anatomia del conflitto di coppia e i torbidi

retroscena di una serenità di facciata. Non certo i dettagli horror.

Al netto di un finale molto al di sotto delle aspettative, “L’apparenza delle cose” sa intrattenere: mai memorabile ma almeno offre una suspense non banale.

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