da Venezia
Non sono proprio pochi i premi che la Mostra internazionale di arte cinematografica assegna. Ben otto per venti film in concorso. Ecco, nessuno di questi è andato a uno dei tre film italiani. Il campanello di allarme del festival di Cannes del maggio scorso che non aveva messo nessun nostro film in competizione è diventato un macigno che ha sotterrato le meduse di Spira mirabilis di Massimo D'Anolfi e Martina Parenti, i ragazzi alle prese con gravidanze più grandi di loro di Piuma di Roan Johnson e le quattro giovani erranti senza meta di Questi giorni di Giuseppe Piccioni. Nulla avranno potuto (o voluto?) i giurati Giancarlo De Cataldo e Chiara Mastroianni che con i colleghi stranieri, Laurie Anderson, Gemma Arterton, Nina Hoss, Joshua Oppenheimer, Lorenzo Vigas, Zhao Wei, presidente Sam Mendes, hanno decretato non certo all'unanimità, come vedremo, i vincitori.
Ma ci sarà tempo e modo di elaborare questa débâcle ampiamente annunciata (anche da Il Giornale). Per fortuna che nel concorso della sezione «Orizzonti», quella più «sperimentale» per intenderci, miglior film è stato Liberami di Federica di Giacomo, sconvolgente viaggio tra gli esorcisti siciliani e i loro fedeli. Ma di italiano ci è rimasto anche, nella serata di premiazione un po' priva di glamour e di presenze istituzionali sempre per rispetto alla tragedia del terremoto, la splendida madrina, Sonia Bergamasco, una delle poche che ha visto quasi tutti i film e che ha condotto in porto con autorevolezza l'edizione numero 73.
Il premio più importante, il Leone d'oro per il miglior film, è andato a Lav Diaz che in The Woman Who Left porta lo spettatore in un meraviglioso viaggio in bianco e nero di quasi quattro ore dentro la storia filippina: «Non posso credere di aver vinto, dedico il premio al mio popolo in lotta».
Grandi applausi in Sala Grande. Riconoscimento al cinema statunitense con il Gran premio della giura, a Nocturnal Animals del regista-stilista Tom Ford che, impeccabile, è stato l'unico a prepararsi un discorso in perfetto italiano: «L'Italia, dove ho trascorso alcuni dei migliori anni della mia vita, mi ha accolto proprio qui a Venezia sette anni fa con il mio primo film. Ora è un onore immenso ricevere questo premio». Che la giuria abbia discusso è dimostrato dall'ex-aequo - in deroga al divieto del regolamento del festival - per la migliore regia con il Leone d'argento assegnato a Andrei Konchalovsky per Paradise e ad Amat Escalante per La region salvaje, il misterioso ma affascinante film con il polipo gigante alieno che fa sesso con chi gli si avvicina. Mentre l'argentino Oscar Martínez, protagonista del film rivelazione del festival, El ciudadano ilustre di Mariano Cohn e Gastón Duprat, ha vinto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione.
Molto condivisibile anche la Coppa Volpi femminile che Emma Stone ha vinto per il musical La La Land di Damien Chazelle e che in qualche modo le apre la strada verso una ormai sicura candidatura agli Oscar. E l'attenzione verso il cinema statunitense, su cui ha fortemente puntato quest'anno il direttore del festival, Alberto Barbera, è stata riconosciuta anche con il Premio per la migliore sceneggiatura a Noah Oppenheim per Jackie di Pablo Larraín in cui Natalie Portman interpreta Jacqueline Kennedy. Un po' a sorpresa il Premio speciale della giuria per The Bad Batch dell'iraniana americanizzata Ana Lily Amirpour che, esagitata, ha detto: «Tutto ciò è psichedelico, se ci fossero qui mio padre e mia madre sarebbero contenti per questo cavolo di premio».
La cerimonia era partita dagli esordienti con il Premio Marcello Mastroianni a una giovane attrice emergente, la tedesca Paula
Beer per Frantz di François Ozon.Mentre l'unico premio che ha una dote economica, 100mila dollari, il Leone del futuro - Premio Venezia opera prima - è andato al film Akher Wahed Fina (The Last of Us) di Ala Eddine Slim.
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