L'alleanza tra sinistra e islam che sfocia nell'antisemitismo

Così dietro l'immigrazione incontrollata e la difesa dei palestinesi si nasconde l'odio contro gli ebrei

L'alleanza tra sinistra e islam che sfocia nell'antisemitismo

La questione dell'antisemitismo continua ad agitare il Partito laburista britannico e a perseguitare il suo leader, Jeremy Corbyn. Ancora in questi giorni è in primo piano sulla stampa britannica la denuncia fatta da 64 membri laburisti della Camera dei Lord i quali hanno acquistato una pagina di pubblicità sul quotidiano The Guardian per accusare Corbyn di «aver fallito il test di leadership» con la sua gestione dei casi di antisemitismo all'interno del Labour. «Questo è il tuo lascito, Corbyn: il Partito laburista accetta chiunque eccetto gli ebrei», recita il testo della denuncia sottoscritta da un terzo degli esponenti laburisti della Camera dei Lord. L'iniziativa fa seguito alle polemiche scoppiate nel Partito laburista dopo la messa in onda sul primo canale della Bbc di un documentario intitolato «Il Labour è antisemita?». Inoltre, decine di ex funzionari del Partito laburista sono pronti a testimoniare davanti alla «Commissione indipendente per l'uguaglianza» che i più stretti collaboratori di Corbyn hanno interferito nelle procedure disciplinari interne per impedire l'adozione di misure contro molti esponenti laburisti accusati di antisemitismo. In questo clima si muove la riflessione che la nostra collaboratrice Fiamma Nirenstein affida alle pagine del Giornale.

L'antisemitismo diventa ancor più pericoloso quando molte acque afferiscono alla sua corrente. Così è oggi. Si può dire che l'antisemitismo contemporaneo sia un «coacervo intersezionale», come si dice oggi, alla rovescia... Ma poiché esiste lo Stato d'Israele, esso può essere fermato.

Lo dico in maniera chiara: finché si permetterà all'antisemitismo di travestirsi, non ci sarà alcuna strategia adeguata per batterlo. Per esempio, ho trovato del tutto insufficiente la comparazione - per altro scelta dalla prestigiosa firma del presidente dell'«European Jewish Congress» Moshe Kantor - fra la pericolosità dell'aggressione del «Nordic Resistence Movement», un gruppo neonazista pure molto violento e feroce, agli ebrei di Umera nel 2016, con lo svuotamento imposto agli ebrei di Malmö dall'odio della comunità musulmana antisemita. La fuga da Malmö, dove la presenza islamica è diventata devastante, è specialmente significativa se si considera che l'anno scorso la Svezia ha sperimentato il più alto numero di morti violente: 306. La maggior parte degli attacchi sono avvenuti per mezzo di Kalashnikov, un'arma classica del conflitto israeliano-palestinese, in aeree «vulnerabili» abitate soprattutto da immigrati non occidentali. La polizia parla nei suoi rapporti di «presenza» di simpatizzanti di gruppi terroristi... Malmö, città da cui sta svanendo la comunità ebraica, soffre la presenza di un estremismo diffuso, tanto che il Comune ha stampato delle «guidelines» per i suoi impiegati e li invita fra l'altro a fare attenzione prima di lasciare un edificio «per evitare di finire in una situazione indesiderata». Il rischio più comune è quello dei continui incendi e distruzioni vandaliche: insomma la presenza islamica crea, e non solo a Malmö, una vera e propria «situazione di guerra», come la definiscono molti autorevoli commentatori.

La violenza importata dall'immigrazione islamica incontrollata o mal controllata si è trasformata in antisemitismo: ma nessuno ha voglia di dirlo, per paura di essere accusato di islamofobia. Ne sa qualcosa l'ex presidente dell'Unione Europea Romano Prodi che nel 2003 nascose un'inchiesta che provava la presenza di diffusi sentimenti antisemiti presso i musulmani in Europa.

L'antisemitismo svedese è un caso di studio molto speciale, in cui si trovano esaltati tutti gli elementi dell'antisemitismo europeo di oggi. C'è, in primis, un sottofondo di antico antisemitismo cristiano, un antico fantasma utilizzabile al bisogno. È l'antisemitismo light: a volte lo vediamo nello sciocco snobismo dell'upper class, altre volte invece è plebeo e demenziale negli stadi. In secondo luogo esiste una minoranza, residuo del passato, di idioti marciatori all'ombra di una svastica di suprematisti privi di riferimenti politici e culturali che non siano miserie razziste o memorie ipernazionaliste con le loro icone. E poi - terzo elemento - ecco la grande immigrazione islamica, il fenomeno contemporaneo per eccellenza, quello che fa tremare il mondo occidentale e arriva con un carico di antisemitismo pressoché invincibile, che parte dall'educazione dei bambini, come scrive Ayaan Hirsi Ali, che «imparano da piccoli che gli ebrei sono figli di scimmie e maiali», «disumani uccisori di palestinesi». Nella Carta di Hamas si dice chiaramente: «Le pietre e gli alberi diranno O Abdullah, c'è un ebreo qui nascosto, vieni e uccidilo». Nell'antisemitismo islamico si trova il nocciolo più duro dell'antisemitismo israelofobico, condito da incitamento e caricature ripugnanti.

Infine c'è la maggiore di tutte le macchine da guerra antisemite, che ora viene chiamata in un modo e ora in un altro, che si basa sull'immensa costruzione della cultura contemporanea di Sinistra, coi suoi film, i suoi libri, le case editrici e i centri di cultura. Alla base c'è la storia europea vista attraverso il messaggio sovietico che in piena Guerra Fredda amava accusare gli Usa e i suoi alleati di essere colonialisti e guerrafondai. Israele, e quindi gli ebrei, diventano nemici dei drappelli per la pace, antimperialisti, contro il nazionalismo, che manifestano per l'uguaglianza, la libertà d'opinione, il femminismo, la difesa dei gay ... Che peccato, tante belle battaglie insozzate dal comune odio antisemita.

Torniamo in Svezia. Io stessa, quando guidavo la Commissione esteri del Parlamento italiano, nel luglio 2009, poco dopo che il giornale Aftonbladet aveva pubblicato un lungo articolo in cui spiegava che i soldati israeliani uccidono i giovani palestinesi per rubargli gli organi e poi farne commercio, mi sono sentita rispondere dal presidente della riunione delle Commissioni esteri europee, il ministro degli esteri svedese Carl Bildt, che «non esiste nessun antisemitismo in Svezia». Gli avevo chiesto che cosa intendesse fare per bloccarne l'evidente ondata. La sua risposta fu: «nulla». Perché il problema, secondo lui, non esisteva.

E in effetti è difficile estrapolare l'antisemitismo dal mainstream contemporaneo. Si tratta di rivoluzionare l'intera costruzione ideologica dell'Occidente post bellico, che oggi marcia nel segno di un evidente antisemitismo. La confusione, dovuta anche alla faciloneria ideologica delle classi dirigenti con cui si è affrontato il problema dello Stato-Nazione (come se si potesse cancellare con un colpo di spugna ciò che ha volto, confini, lingua, identità, cibo, famiglia...), dei confini, delle minoranze, dell'immigrazione, della condizione della donna, si è trasformata in quella famosa «intersezionalità» per cui chi si batte per la libertà della condizione omosessuale, alla fine arriva, secondo l'ideologia dei «diritti umani», a essere anti israeliano. Israele è uno dei Paesi più gay friendly del mondo. Eppure lo si dipinge sempre come se usasse le sue leggi e i suoi costumi a favore dei gay come una bandiera di «pinkwashing». Perché la vera natura dello Stato degli ebrei deve essere quella oppressiva e quindi anti-gay, come è anti-palestinese.

I mille affluenti ideologici del liberalismo conducono a una quantità di altre stravaganze anti-israeliane, fra cui considerare Israele un Paese genocida (mentre la popolazione palestinese, prima di Israele un popolo alquanto volatile, adesso raddoppia, triplica, quadruplica...). O di essere un Paese in cui vige l'apartheid, o antidemocratico. Tutte accuse che i fatti smentiscono. Basta una passeggiata in un Mall, o in un ospedale, o alla Knesset. Ma tant'è: Bildt quando diceva che in Svezia non esiste l'antisemitismo voleva dire che se c'era una vibrante critica allo Stato d'Israele, se persino lo si criminalizza, ciò è giustificato dalle azioni perverse che quello Stato, sin dalla sua nascita, compie contro i palestinesi. Israele, per così dire, è la somma perfetta dell'«intersezionalità rovesciata»: ovvero chiunque al fondo abbia il germe del trimillenario malanno che affligge l'umanità, può trovarne il germe in tutte le possibili lotte per i diritti umani.

Imbarazzante? Dovrebbe esserlo, in un mondo che solo 70 anni fa ha perpetrato l'Olocausto. E invece ogni organizzazione, anche quelle che come l'Unesco dovrebbero dedicarsi a preservare la bellezza del mondo, ha nell'ispirazione internazionalista il paravento per l'avversione agli ebrei. Quando scrivevo in anni molto lontani il mio primo libro sulle donne comuniste, restavo attonita scoprendo che sin dal loro inizio le prime riunioni internazionali femministe, sempre sotto l'egida dell'Urss, mettevano in relazione la rivoluzione sociale necessaria in Sud America con i movimenti femminili, mentre però l'assemblea votava l'espulsione delle donne israeliane dal loro consesso.

La Sinistra mondiale ha adottato sempre di più questo modello per cui un oppressore o presunto tale è il coacervo di tutti i mali, dall'odio anti-omosessuale allo sfruttamento economico. Israele incarna la connessione del tema dell'identità col potere, e da qui a farne l'assassino di bambini palestinesi il passo è breve. La cosiddetta «Grande marcia del ritorno» dei palestinesi di Hamas, un'organizzazione terrorista che uccide, quella sì, donne e bambini innocenti e teorizza l'antisemitismo, è considerata spesso simile alle manifestazioni dei neri d'America, alle masse di immigrati disperati, tutti perseguitati dai privilegiati, dai potenti. I missili e gli attentati di Hamas, i palloni incendiari, sono considerati epifenomeni non collegati alla natura terrorista di Hamas che domina la Striscia di Gaza.

Così gli ebrei sono tornati nell'empireo degli sfruttatori e dei mostri dopo le sofferenze della Shoah. La battaglia contro l'antisemitismo deve partire dal difendere Israele dalle accuse di genocidio, colonialismo, apartheid, ossia le bandiere del nuovo antisemitismo. Gli ebrei sono i nazisti moderni, e quindi non si meritano di esistere, tanto meno come Stato nazione, di per sé un'identità che incarna il potere, la prepotenza, l'espulsione dei miseri. Se chiedessimo a Jeremy Corbyn, il leader del partito laburista britannico, perché è antisemita, risponderà che i suoi migliori amici sono ebrei, e che è semplicemente contro l'oppressione che Israele infligge ai palestinesi. Se gli si chiedesse perché tuttavia è amico di Hamas, la risposta invocherà i valori della resistenza contro l'oppressione.

Questa è la bandiera europea dell'antisemitismo odierno, qui si combatte la battaglia. E di nuovo il centro è Israele, attaccato sì, ma forte: lo Stato degli ebrei oggi esiste per difenderli in tutto il mondo. Ed è solo rafforzandolo ulteriormente che si batte l'antisemitismo.

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