"L'antisemitismo è una malattia mentale da cui non si guarisce"

Il fratello dell'eroe Yoni e del presidente Bibi nell'opera teatrale "Meaning" parla della Shoah

"L'antisemitismo è una malattia mentale da cui non si guarisce"

Anche Iddo Netanyahu prende la storia per il collo, come i suoi due fratelli maggiori, Yoni, il comandante dell'impresa di Entebbe in cui furono salvate più di cento persone sequestrate dai terroristi (e lui ci si lasciò la vita), e Bibi, Benjamin, il primo ministro di Israele il quale, incurante delle critiche, ha portato il suo Paese fra i primi al mondo quanto a economia, scienza, difesa. Ma Iddo affronta il rischio dal lato intellettuale. Medico e commediografo, 66 anni, alto e asciutto, marito e padre, è divenuto negli anni uno scrittore schivo e concentrato in riflessioni che sfidano il pensiero comune, e le cui opere vengono rappresentate da Mosca a New York. I suoi personaggi occupano il palcoscenico e le pagine con ironia amara e senza mezzi termini, come nel romanzo Itamar, o come nel dramma Un lieto fine.

In Meaning, la sua ultima opera appena rappresentata a Baku, affronta il rifiuto di guardare in faccia l'antisemitismo. Lo fa usando come protagonista la figura storica di Viktor Frankl (1905-97), austriaco, sopravvissuto ai campi di sterminio, neurologo, psichiatra e filosofo, fondatore della logoterapia. Le sue memorie di prigioniero sono raccolte in un libro che fu un super bestseller mondiale, Man's search for meaning, uscito nel 1946, tradotto in 24 lingue e venduto in decine di milioni di copie. Frankl vi racconta il percorso per superare le sofferenze e per vivere una vita degna che dissipi le nebbie dell'antisemitismo. Per farlo, secondo lui ognuno deve trovare il suo «buon» significato. Frankl ad Auschwitz identifica il suo «meaning» nella logoterapia. Iddo Netanyahu mette a confronto le illusioni di Frankl con la disillusione di Betty, una madre cristiana il cui compagno ebreo è morto ad Auschwitz e il cui figlio è costretto a subire, anche dopo la guerra, attacchi antisemiti dai compagni di scuola. Betty non crede nel «meaning» di Frankl, anzi ne mostra la debolezza, svelando una realtà che lo psicanalista non può curare: la permanenza dell'antisemitismo in Europa dopo la Shoah. Betty va da Frankl per farsi aiutare. «Frankl - spiega Iddo - cerca di convincerla che le sue sono fantasie, che con la sconfitta del nazismo il bene ha sconfitto il male. E rifiuta di affrontare la realtà».

La delusione, protagonista di altre sue opere, è un elemento necessario della conoscenza?

«La delusione è necessaria, capire la realtà è un antidoto contro il male. Ma il mondo è diviso in due, fra chi pensa che l'uomo possa cambiare, che curandolo se ne possa estrarre il nocciolo buono, e chi capisce che c'è una realtà spesso immodificabile. L'antisemitismo è con noi da migliaia di anni, il suo male è una pietra ideologica inamovibile».

Frankl pensa di poterlo fronteggiare con la psicanalisi...

«Secondo Frankl, con la morte di Hitler il male si è esaurito. Il nazismo è stato un episodio, e hanno vinto i buoni. E i cattivi... diventeranno buoni se troveranno un buon meaning. Ma in verità è stata l'ideologia nazista a fornire il guscio all'antisemitismo persistente. Secondo Frankl, Betty fantastica. Finché il figlio non tenta di uccidersi... È un punto di vista simile a quello di chi pensa che il comunismo sia stata un'esperienza fallimentare perché guidata da uomini cattivi. Mentre è l'ideologia stessa a essere oppressiva e totalitaria. Così per l'antisemitismo. Persiste come malattia ideologica capace di trasformarsi da millenni, dai tempi dell'antico Egitto».

Ma cercare un «significato» ha aiutato Frankl a sopravvivere. Non è già tanto?

«Certo. Penso sia commovente la sua insistenza nel perseguire il bene, che sia infantile il suo credere che l'uomo ha uno scopo morale. Ma non ce l'ho con lui».

Tuttavia per sopravvivere finge di ignorare che una copia dei suoi appunti sia in salvo a Vienna e trascina la moglie verso la morte per proteggerli con lui nel campo. E alla fine si salva perché può usare le scarpe di un compagno morente. Non ci fa una bella figura.

«Ma fu anche generoso, raccontano le sue memorie. A Baku, dove ora la pièce ha avuto molto successo, molti si sono innamorati del suo ottimismo... Lessi il libro di Frankl per la prima volta da ragazzo, me lo regalò mia madre. Rileggendolo 40 anni dopo notai che la parola ebreo non veniva usata neppure una volta, e nemmeno tedesco... Per Frankl ci sono soltanto anime universali, la gente cattiva e quella buona. Oggi del resto si fantastica sull'idea che i giovani militanti dell'Isis che fanno attentati e tagliano teste siano poveri sfruttati, disgregati socialmente, e che, se aiutati, diventeranno buoni».

Lei che ha militato nell'unità migliore dell'esercito come i suoi due fratelli, lei che fa del sionismo la sua bandiera, come può pensare che la ricerca del «significato» sia un'idea sbagliata? La sua vita è piena di «meaning»...

"Sì, ma di un meaning realista, non ideologico. Frankl indica nel meaning buono un'astratta appartenenza a un'umanità destinata a essere redenta, come dall'altra parte ci sono i cattivi. Le cose non stanno così».

L'antisemitismo genocida può essere praticato da chiunque? Colti, ignoranti, cristiani, islamici?

«Certo, è una malattia della mente. L'impero romano d'oriente la trasmise all'Europa Occidentale, e l'Europa l'ha trasmessa a tutte le altre culture».

All'Islam?

«A parte dell'Islam. Quando Hitler decise di cavalcare l'antisemitismo, lo fece perché sin da quando frequentava la scuola d'arte a Vienna vide quanto fosse popolare l'antisemitismo...»

Il populismo odierno può scatenare l'antisemitismo?

«Soltanto se ai leader convenisse. Ma oggi è molto difficile immaginare che ciò accada, soprattutto perché si inimicherebbero Israele. Questa è la grande novità: che adesso Israele esiste».

Però dichiarare la fine dell'antisemitismo con la nascita di Israele fu un errore. Oggi c'è un antisemitismo israelofobico.

«Non fu un errore. Il fatto che gli ebrei non possano più essere oggetto di una guerra di sterminio è importante. Possono essere odiati, ma non più sterminati. L'antisemitismo è un'ideologia genocida, ma ora il genocidio non è più possibile. I padri fondatori capirono che il popolo ebraico doveva avere la sua casa, e anche la sua forza, che occorreva andarsene e potersi difendere. L'antisemitismo oggi è molto meno pericoloso. Oggi l'unico antisemitismo che minaccia direttamente il popolo ebraico è quello puntato contro Israele con un obiettivo genocida, quello dell'Iran. L'antisemitismo europeo è pericoloso per i singoli: può odiarci, ma non eliminarci».

È un'ideologia, quindi lo si potrebbe battere con armi ideologiche, con le leggi.

«Sono contrario alle proibizioni, alle condanne penali, alla criminalizzazione».

In uno dei dialoghi finali di Meaning, Frankl cerca invano di bloccare il desiderio di vendetta di uno dei suoi compagni nel campo di sterminio.

«Il desiderio di vendetta verso chi ti ha ucciso i figli o i genitori o la moglie era naturale. Ma quando c'è un potere organizzato non ci si deve vendicare con le proprie mani».

Se lo Stato d'Israele fosse esistito al tempo della Shoah, avrebbe impiegato l'esercito?

«Certo, avrebbe usato la forza. Purtroppo siamo arrivati dieci anni dopo».

Sono rimasta in pena per il figlio di Betty. Il ragazzo morirà?

«Se avessi voluto farlo morire, sarebbe morto... Invece, è all'ospedale».

Allora Frankl potrà parlare di nuovo con Betty? Capire la realtà? Darle una speranza?

«Speriamo».

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