Gianluca Barbera*
Poco tempo fa sono stato invitato alla trasmissione Coffee Break, su La7. Tra gli ospiti c'era anche la ex presidente della Camera, Laura Boldrini. Lei dice la sua, io dico la mia. Su molte cose non siamo d'accordo, come è naturale. Poi lei mi augura in bocca al lupo per il mio nuovo romanzo e ci salutiamo. Il giorno dopo do un'occhiata alla pagina Facebook della trasmissione e trovo oltre un centinaio di commenti, molti dei quali sono insulti nei suoi confronti. Anche qualcuno rivolto a me, per il solo fatto di aver preso parte alla trasmissione assieme a lei. D'accordo che ormai i social sono delle fogne, mi dico, ma quante ingiurie dovrà ancora sopportare quella donna! E la mia empatia nei suoi confronti s'impenna. Già in trasmissione la osservavo e mi dicevo: che spalle larghe deve avere per reggere tutte le volgarità e l'odio che ogni giorno le riversano addosso!
Naturalmente prendo il caso della Boldrini per fare un discorso generale, per parlare del livello di degenerazione a cui siamo giunti nel mondo social, dove aggressività, violenza verbale e disprezzo la fanno da padroni. Non c'è il rischio che tutto questo prima o poi si travasi nella vita reale? Ho amici scrittori che subiscono impassibili (almeno in apparenza) la loro dose quotidiana di insulti. Non faccio i nomi per non esporli ulteriormente. Personalmente sono pessimista. Non credo che vi sia un rimedio a questo andazzo. Credo invece che sprofonderemo sempre più giù. Molti personaggi pubblici (quasi tutti, per la verità) sopportano ogni giorno offese di ogni tipo da parte dei cosiddetti haters, odiatori di professione, sempre più numerosi, come se fosse il prezzo del successo. C'è chi si spinge a dichiarare che quegli insulti se li meritano. Balle. Chi insulta o giustifica gli insulti è un uomo da poco, un individuo senza speranza, roso dall'invidia e della frustrazione. C'è da augurarsi che in molti casi ciò che accade sui social sia dovuto solo a un impazzimento momentaneo, e che nella vita reale costoro tornino a essere dei dottor Jekyll, non dei Mr Hyde. Altrimenti ci troveremmo davanti a decine di migliaia di squilibrati che circolano in libertà per le strade. Ricordate il film Rollerball, del 1975, nel quale una delle principali valvole di sfogo per la popolazione era rappresentata da un violentissimo sport nel quale due squadre composte da corridori in pattini a rotelle e motociclette si affrontavano in una lotta all'ultimo sangue come in un'arena? Forse i social svolgono questo ruolo, servono a evitare guai peggiori nel mondo reale, convogliando tutta la rabbia nella rete. Viene quasi da augurarsi che sia così, anche se sarebbe ben triste. È probabile che nessuno ci possa fare nulla, forse abbiamo le mani legate. Una cosa però c'è che possiamo fare: attivarci, tutti insieme, affinché le persone che passano il tempo a insultare sui social vengano emarginate. Se ne avete tra gli «amici» bannateli. Non si tratta di scatenare una caccia alle streghe, ma di trasformare i social in luoghi più civili. Le critiche, anche feroci, sono ammesse. Ci mancherebbe. Un insulto può scappare, ma non può diventare la regola. Naturalmente chi si sente ingiuriato o diffamato può sporgere querela, ma nel caso in cui si ricevano decine di insulti tutti i giorni questa strada non è percorribile. Allora diamo una mano tutti, come quando si va a ripulire le spiagge o i boschi: ripuliamo Facebook.
Inutile nascondere che iniziative di questo genere presentino dei rischi. Primo, finiscono inevitabilmente inascoltate. Secondo, c'è sempre qualcosa di stonato, di fariseo, negli appelli (ecco perché non ho mai aderito a nessuno dei tanti proposti a favore di questo o contro quest'altro). E immagino che il mio non faccia eccezione. Forse si chiede troppo alle persone, per colmare il vuoto lasciato dalle istituzioni. Senza contare che abbiamo assistito a fin troppe cacce alle streghe negli ultimi anni, perché se ne aggiungano altre.
Ogni volta che ci si scaglia contro qualcosa o qualcuno cercando di sollevare le masse si finisce per commettere un'ingiustizia più grossa di quella che si pretendeva di cancellare. E allora perché questo appello? Per la semplice ragione che, se nella barca in cui mi trovo comincia a entrare acqua, come posso restarmene con le mani in mano? In gioco c'è più di quel che sembri.* Scrittore e editore
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