L'etica di Sciascia, la grazia di Patti, e il greco Quasimodo

Una guida letteraria all'isola del "Gattopardo", Brancati, D'Arrigo... Fra città d'arte e libri culto

L'etica di Sciascia, la grazia di Patti, e il greco Quasimodo

Si comincia da Palermo. Il giro letterario della Sicilia parte di solito dalla capitale, che dà i natali ai due cugini aristocratici, Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Lucio Piccolo, autore il primo del conosciutissimo Gattopardo, il secondo di alte poesie barocche per pochi raffinati lettori. Ma a Palermo, se seguiamo il percorso di Massimo Onofri in questo suo Passaggio in Sicilia, (Giunti, pagg. 391, euro 18) possiamo imbatterci anche in Michele Perriera, che inizia il suo lavoro con il Gruppo 63, che per altro proprio a Palermo ebbe il suo battesimo, in Giuseppe Antonio Borgese, in Ignazio Buttitta, in Roberto Alajmo, e soprattutto in Leonardo Sciascia che vi venne a vivere dalla natia Racalmuto e fu il grande scrittore capace di cogliere nelle sue pagine «la poesia della ragione» e l'intellettuale militante dall'impegno etico costante e rigoroso.

Voltando verso Marsala, si entra nel campo del poeta Nino De Vita, che Onofri sceglie quasi come il suo Virgilio, scendendo verso Agrigento (allora Girgenti) ci si imbatte nell'ombra gigantesca di Pirandello (di Pirandello e Sciascia è biografo Matteo Collura, agrigentino anche lui). Ancora più a sud, a Porto Empedocle, si trova il regno immaginato dalla fantasia affabile, agrodolce di Andrea Camilleri, qui trascurato, ma che un giorno potrà forse essere considerato maggiore di tanti altri corregionali. A Modica nasce Quasimodo, il più greco dei nostri poeti, Nobel ingiustamente discusso. A Gela Onofri segnala la romanziera Silvana Grasso, a Caltagirone la poetessa e prosatrice Maria Attanasio «generosa, affascinante e appassionata». A Comiso troviamo Gesualdo Bufalino, autore della Diceria dell'untore, con quello che a me è sempre apparso un virtuosistico manierismo sulla «assoluta vanità e insensatezza dell'esistenza», a Mineo nasce Giuseppe Bonaviri, l'autore del Sarto della stradalunga, con la sua fantastica sensualità e il suo senso «delicatamente cosmico», e di Avola è Paolo di Stefano, che, scrive Onofri, veste di illuminismo lombardo le sue radici siciliane.

E così siamo sulla costa jonica, e i grandi si moltiplicano: Giovanni Verga, il maestro che affascinò D.H.Lawrence e Sartre al punto che entrambi lo tradussero, Federico De Roberto, Vitaliano Brancati, Elio Vittorini. E poi Vincenzo Consolo, Bartolo Cattafi, Goliarda Sapienza. Di Catania sono Elvira Seminara e Viola di Grado, rispettivamente moglie e figlia del critico Antonio Di Grado, e Sebastiano Addamo e Ottavio Cappellani. E perché non viene ricordato Pietrangelo Buttafuoco? Messinese è Stefano D'Arrigo con il suo monumentale e farraginoso Orcynus Orca, catanese Ercole Patti con la grazia suprema del suo Un bellissimo novembre. Dalla Sicilia, Onofri ricorda che sono venute anche giovani narratrici di grande successo popolare come Lara Cardella e Melissa Panarello. E io aggiungo una autrice di qualità come Emanuela E. Abbadessa, che di recente ha dato nuova linfa al romanzo storico di ambiente siciliano.

La ricchezza del libro di Onofri è magmatica, debordante, stordisce quasi. La sua guida va al di là della letteratura: troviamo annotazioni su Guttuso e Guccione, sulle trattorie di Bagheria Don Ciccio e Zza Maria, preziose digressioni etimologiche, per esempio sul termine cassata, racconti di pranzi, aforismi: «dove sta un siciliano ce n'è sempre un altro» (Sciascia), epigrammi, folgoranti intuizioni critiche sugli autori che cita, osservazioni profonde sul familismo siciliano, su un senso della famiglia sospeso tra «dignità religiosa» e «orrore della profanazione», memorie personali, come quella molto bella su zio Nicola, medico socialista e cattolico, iniziatore del giovane Massimo alla lettura. Molto opportuna è la rievocazione, giunti a Catania, di Domenico Micio Tempio, il grande autore di Lu cazzu grossu, La futtuta all'inglisa, e mi permetto di aggiungere La monaca dispirata, senza il quale forse non si capirebbe quella «arsura erotica», quella «fame di femmina» ma anche quell'ironia e quel disincanto sprezzante, elegante che serpeggia per la città etnea. Ma il viaggio di Onofri è soprattutto un viaggio di amici: convoca tutti alla sua mensa letteraria, dai maestri come Giuseppe Antonio Borgese a Leonardo Sciascia, di cui è ottimo studioso, ai colleghi Salvatore Silvano Nigro e Giorgio Ficara, di cui fa ottimi ritratti.

Insomma, siamo di fronte a un autore «figlio di Montaigne e di Hume» che ama mettere in mostra il proprio sapere e se stesso ma con simpatia, al punto da definirsi da solo vanesio, e che mentre dichiara Ficara «il più bello degli italianisti» ci fa sotterraneamente intendere quanto vorrebbe esserlo lui stesso, eternamente, «stilnovisticamente», innamorato. Un libro generoso per una terra come la Sicilia, generosa di bellezza, ossessioni, slanci, terrori, ragione, follia, luce, oscurità: in una parola, di letteratura.

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