L'Europa secolarizzata non potrà mai bastare a se stessa

Dario Antiseri riflette su Occidente e religiosità. Perché la scienza da sola non ci dà un'identità

L'Europa secolarizzata non potrà mai bastare a se stessa

Anticipiamo qui uno stralcio dell'articolo di Dario Antiseri "Un mondo secolarizzato può bastare a se stesso?" che sarà pubblicato sulla rivista bimestrale Vita e pensiero in libreria questa settimana. Il filosofo riflette sul lungo percorso del pensiero Occidentale e la religiosità. La grecia ha passato all'Europa l'idea di razionalità, ma l'idea di trascendenza le è arrivata grazie alla cultura ebraico-cristiana. E l'uomo, secondo Antiseri, rimane un essere religioso nonostante tutte le affermazioni della morte di Dio.

Il cancro che sta attanagliando l'Europa è in primo luogo la sua scristianizzazione, vale a dire la sua progressiva secolarizzazione. È un'Europa che sta perdendo la propria memoria e non sa più dove andare. Nel secolo scorso, quando le idealità cristiane cessarono di essere una forza viva, alla fede religiosa intere popolazioni europee sostituirono una "religione sociale" e la trovarono nel socialismo e nel fascismo, nel comunismo e nel nazismo. Ai nostri giorni, si stende sull'Europa la notte del nulla - si cerca di riempire il vuoto dell'anima genuflettendosi davanti al dio-denaro e, intrecciato a esso, al dio-delpotere, del potere sugli altri.

Scriveva circa sessant'anni fa Wilhelm Röpke: "Sono giunto così alla radice di un pensiero che spero condiviso da molti: sono sempre stato riluttante a parlarne, perché appartengo a quella categoria di persone che portano malvolentieri in piazza i propri convincimenti religiosi. Oggi dico senza mezzi termini: la malattia della nostra civiltà ha le sue radici più profonde nella crisi spirituale e religiosa ch'è in ogni individuo; e solo nell'anima di ogni individuo può trovare il proprio superamento. Benché l'uomo sia innanzitutto homo religiosus, tendiamo sempre più, da un secolo a questa parte, a fare a meno di Dio, mettendo al suo posto l'uomo, con la sua scienza, con la sua arte, con la sua tecnica e con il suo Stato, tutti lontani da Dio o addirittura senza Dio. Verrà un giorno in cui ciò che ora è chiaro soltanto a pochi apparirà chiarissimo a tutti: si vedrà che questo tentativo ha creato una situazione incompatibile con la vita etica e spirituale dell'uomo, il quale non potrà continuare a esistere così, malgrado la televisione, le autostrade, i viaggi di piacere, gli appartamenti confortevoli".

"Non bisogna aspettarci dalla filosofia ciò che ci si aspetta dalla scienza, cioè risposte, anche se parziali. Il compito della filosofia è porre domande, non lasciare l'uomo senza domande, e fare intendere che al di là delle risposte della scienza c'è sempre una domanda ulteriore, non appagarci mai della risposta, per quanto ardita e geniale, dello scienziato; renderci conto che, per quanto sia stretta la zona di luce del nostro sapere, c'è sempre una zona d'ombra, che non sembra diventare più piccola per il solo fatto che la nostra esplorazione nel cosmo si è perfezionata. Anzi, in un certo senso, credevano di saperne di più sull'universo quelli che sapevano meno. Oggi tanto più sappiamo, tanto meno sappiamo". Questo diceva Norberto Bobbio in una conferenza tenuta a Cattolica nel 1980. La filosofia, insomma, pone domande alle quali non può dare risposta. E questo per la ragione che l'orizzonte della filosofia è la totalità "e nessuna mente umana può abbracciare la totalità". Ma, sempre per Bobbio, "proprio perché le grandi risposte non sono alla portata della mente umana, l'uomo rimane un essere religioso, nonostante tutti i processi di demitizzazione, di secolarizzazione, tutte le affermazioni della morte di Dio, che caratterizzano l'età moderna e ancor più quella contemporanea".

La grande domanda la domanda filosofica è fuori dalla scienza; è la domanda più urgente, inestirpabile: è una richiesta di senso e non una spiegazione scientifica. "Richiesta di senso", esplicita Bobbio, "significa bisogno di dare un senso alla propria vita, alle nostre azioni e alla vita di coloro verso i quali dirigiamo le nostre azioni, alla società in cui viviamo, al passato, alla storia, all'universo intero". In realtà, davanti a ogni più piccolo problema ci poniamo sempre due perché: "un perché causale e un perché finale. Ovvero: 1) quali sono le cause per cui accade quello che accade?, 2) perché è accaduto proprio quello che è accaduto, e non altro? O meglio: in quale disegno universale dell'universo si inserisce l'accadimento di cui conosciamo perfettamente le cause che l'hanno prodotto? In altre parole, nell'un caso si tratta di spiegare un fatto, nel secondo di giustificarlo. Il sapere scientifico, quando riesce, dà una risposta al primo perché. Non al secondo". La scienza individua le cause della morte di un bambino, ma non può offrirne il senso.

Scrisse Wittgenstein: "Noi sentiamo che se pure tutte le possibili domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero nemmeno sfiorati". È la vita a porre ogni uomo, in modo inesorabile, davanti al bivio dove egli dovrà scegliere tra l'assurdo e la speranza. La richiesta di senso si configura allora come un'invocazione di un senso ultimo e, quindi, religioso che l'uomo non sa e non può costruire con le sue forze, con la sua ragione. Questa non è la Dea-Ragione; l'uomo non è Dio. E in realtà, come sottolineato da F.A. von Hayek (e non solo da lui, ovviamente), "il compito di gran lunga il più difficile e di primaria importanza per la ragione umana è quello di comprendere razionalmente le proprie limitazioni" (L'abuso della ragione, 1967). Quello della filosofia è ancora Bobbio a parlare dovrà essere "un compito umile, molto umile, ma necessario": "un compito di sentinella, più che presuntuosamente di guida. La sentinella che deve stare ad ascoltare l'avvicinarsi del nemico, da qualunque parte provenga, e dare l'allarme prima che sia troppo tardi".(...)

Sempre Bobbio ha detto: "L'uomo rimane un essere religioso, nonostante tutti i processi di demitizzazione, di secolarizzazione, tutte le affermazioni della morte di Dio, che caratterizzano l'età moderna e ancor di più quella contemporanea".

E Röpke: "Benché l'uomo sia innanzitutto homo religiosus , della spaventosa scristianizzazione e laicizzazione della nostra civiltà nessuna persona umana onesta verso se stessa può ormai dubitare". Ma, allora, un'Europa secolarizzata, che pare aver dimenticato le idealità cristiane quando le rifiuta o addirittura le calpesta, ebbene questa Europa è ancora Europa?

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