nostro inviato a Monza
Basta vederlo, il pubblico, qui nel parco a fianco della Villa Reale, per capire che cosa è il Liga Rock Park: l'apoteosi di Ligabue e del suo pubblico. Tre ore di concerto per ottantamila persone (oggi replica per altre cinquantamila). Un palco enorme con 850 mq di schermo. Cinque chilometri di transenne per la folla. Quando finiscono le note del Guglielmo Tell di Rossini e Ligabue inizia Urlando contro il cielo il muro del suono arriva proprio fin lassù e la botta di energia è da mega evento. Poi Libera nos a malo, I duri hanno due cuori, Niente paura e il primo medley tiratissimo: Sogni di rock'n'roll e Con la scusa del rock'n'roll. La platea ve la potete immaginare: decine di migliaia di persone, tantissime arrivate già venerdì, un happening con tutti gli ingredienti anni '70, salvo le esagerazioni. Pubblico impeccabile, quello del Liga.
È la maggioranza silenziosa finché non entra a un concerto di Ligabue: allora urla, balla, si scatena senza differenze di età visto che ci sono ragazzini, quarantenni, cinquantenni, famiglie intere e compagnie di amici che arrivano da tutta Italia. In fondo Ligabue è stato uno dei primi (forse il primo) a creare in Italia le adunate oceaniche in cui si celebra la liturgia più sofisticata e imprevedibile del pop: il legame tra un artista e i suoi ascoltatori (il concerto e il docufilm si potranno vedere su Fox e Fox Life il 23 novembre). Non è un caso che, appena salito sul palco con occhiali neri e «chiodo» di pelle molto rock, Ligabue, persino lui che è abituato a queste maree di pubblico, abbia trascorso un paio di minuti in trance davanti all'entusiasmo che pulsava a perdita d'occhio. Poi è partito a capofitto con C'è sempre una canzone e non si è più fermato.
«Sono 370 giorni che non faccio concerti», ha detto scherzando prima di Niente paura. La sua marcia in più è l'affidabilità: Ligabue non sbaglia un concerto e non l'ha fatto neppure stavolta nonostante suonasse per la prima volta quattro brani del disco Made in Italy in uscita il 18 novembre. Uno, G come giungla, è già il più trasmesso dalle radio, gli altri (spalmati strategicamente in scaletta) disegnano il profilo di un concept album di cui per forza si parlerà. La disillusa La vita facile. La (forse) autobiografica Ho fatto in tempo ad avere un futuro. L'inquietante Dottoressa che deve mettere insieme «tutti i pezzi di quel che resta, faccia presto». Sono questi i punti cardinali di un concertone che non ha avuto punti deboli perché Ligabue è la sublimazione dei gusti di due generazioni di pubblico cresciuto «tra palco e realtà», tra l'eredità degli anni '70 e le inquietudini del Duemila, tra speranze utopiche e consapevolezze grigie. Un mondo che si ritrova bene nella dilatazione fascinosa di Piccola stella senza cielo come la suonava Ligabue proprio 26 anni fa, da rockettaro di primo pelo: un contenitore di memoria visto che trattiene accenni a Riders on the storm dei Doors, Knockin' on heaven's door' di Dylan, See me feel me degli Who, Because the night di Patti Smith e Gloria dei Them.
E se in una parte del concerto si è trasferito con la band nella passerella a forma di T (band che per la prima volta ha una sezione fiati), per quasi tre ore Luciano Ligabue da Correggio, 56 anni, professione popstar trasversale, è stato al centro del palco a fare il mattatore della propria festa mentre ognuno degli ottantamila spettatori era invitato speciale.G come Giungla. Certe notti con coro oceanico. E di nuovo Urlando contro il cielo quasi a spegnere le luci del party e dare l'arrivederci al prossimo anno (perché sì, lo potete immaginare, ci sarà un lungo tour).
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