Da New York
Sandra Bullock e George Clooney sono fratelli. Succede in Ocean's 8, ultimo sequel della popolare saga iniziata nel 2001 da Clooney, Brad Pitt, Matt Damon, Andy Garcia e Julia Roberts.
In questo nuovo capitolo, tutto al femminile, in uscita giovedì in Italia, Debbie Ocean ha ereditato dal fratello maggiore la scorza dura, un certo spirito vendicativo e una spiccata vocazione per il crimine. Così si mette a capo di una banda formata da Cate Blanchett, Helena Bonham Carter, Rihanna, Awkwafina, obiettivo: arraffare i gioielli all'annuale appuntamento del Met Gala di New York. Danny è uscito di scena ma gli spettatori lo scopriranno comunque molto presente.
Immagino ne abbia parlato con Clooney.
«Ho passato molte ore al telefono con George. Spesso lo chiamo all'improvviso e parliamo di cinema a ruota libera, per ore. È il mio passatempo preferito. Scherzo ovviamente. Ho passatempi migliori».
È davvero difficile come dicono lavorare su un set di sole donne?
«Al contrario, è stato divertentissimo. È vero, c'erano persone che erano convinte che non avrebbe funzionato, ma le abbiamo fatte ricredere. Sono così orgogliosa di esserci riuscita. In parte è merito della sceneggiatura, in parte è frutto della nostra improvvisazione. Le telecamere erano quasi sempre accese e così nel film ci siamo ritrovate scene che pensavamo di non aver mai girato».
A cosa si deve questa spiccata alchimia?
«Abbiamo legato. Abbiamo trascorso giornate intere a lavorare fianco a fianco anche prima delle riprese. Spesso ci ritrovavamo a mezzanotte sedute sullo stesso divano, una sopra l'altra. È così che è nata questa intesa e non è finita, infatti abbiamo ancora un nostro gruppo WhatsApp».
A Hollywood non la si vedeva dal 2015, le è mancato l'ambiente?
«Se devo dire la verità, no, non mi è mancato più di tanto. Bazzico questo mondo da tanti anni ormai e sono molto fortunata a poter scegliere quello che voglio e che non voglio fare. Questo progetto era qualcosa che aveva attirato la mia attenzione fin da subito ed è per questo che sono tornata».
Per una volta, in mezzo a tutte queste donne, non c'è nessun uomo da conquistare.
«Esatto, per una volta non si vedono donne che litigano per un uomo. Non è un aspetto da sottovalutare, di certo è qualcosa d'insolito a Hollywood. Siamo solo un gruppo di donne che cerca di organizzare una rapina, nessun uomo tra i piedi».
A dire la verità uno c'è, il regista, Gary Ross.
«Lui è un'eccezione. Gary è stato molto comprensivo con tutte noi, ha avuto molta pazienza. Tutte vogliamo più donne registe ma anche un regista che ama le donne come nel nostro caso non è niente male».
Qual è il messaggio che volete trasmettere?
«Le ragazze non devono crescere per forza con l'idea di diventare delle principesse. È stata la prima cosa che ci ha detto Gary e mi trova pienamente d'accordo».
Si spieghi meglio.
«Il mondo ha bisogno di tutti i tipi di donne, di tutte le sfumature dell'universo femminile, anche delle più complicate, come siamo noi in questo film».
È fiduciosa nel futuro?
«Sarebbe bellissimo se le donne iniziassero davvero a prendersi cura l'una dell'altra, ad aiutarsi, a volersi bene. Ogni tanto può capitare di dover fare un passo indietro per far brillare una collega o un'amica. Non è un qualcosa di cui vergognarsi, anzi, è la massima espressione della solidarietà femminile».
Le incomprensioni però ci saranno sempre.
«Certo, si può anche litigare, ma dovrebbe accadere solo per un bene più grande, che spesso è il denaro (ride). C'è molto amore tra donne, là fuori, è giunto il momento di iniziare a mostrarlo anche sul grande schermo».
Crede che i movimenti del #MeToo e del Time's Up abbiano influito su questo processo di cambiamento?
«A Hollywood può darsi, ma sfortunatamente si tratta di una questione che riguarda l'intero genere umano e altrove le cose non sono
migliorate più di tanto. È importante comunque che i media ne continuino a parlare. Deve continuare a rimanere nell'agenda politica, la protesta non va fermata. E per far ciò abbiamo bisogno anche del sostegno degli uomini».
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