Da "lolita" a gran signora con la voglia matta di libertà

L'attrice fu il sogno erotico degli italiani e "influencer" di moda e società. Poi la sua classe fece la differenza

Da "lolita" a gran signora con la voglia matta di libertà

Sembra quasi una beffarda coincidenza che Catherine Spaak sia morta proprio a Pasqua. Nel giorno più importante per i cristiani, è venuta a mancare la donna che è stata per tanti italiani l'emblema della tentazione morbosa del peccato. Come è paradossale che a incarnare sul grande schermo la prima ragazzina italiana dalla sessualità disinibita, precoce, sia stata quella giovane francesina di origine belga, diventata il simbolo di una generazione di adolescenti che voleva emanciparsi e farsi più spregiudicata.

Catherine Spaak è scomparsa domenica in una clinica romana, dopo «un lunghissimo calvario», come ha raccontato la sorella maggiore Agnès (anch'essa attrice), «ma se n'è andata tranquillamente». Aveva avuto un terzo ictus il 25 luglio scorso mentre si trovava a Sabaudia, eredità, forse, dell'emorragia cerebrale che l'aveva colpita nel 2020 compromettendole vista e capacità di camminare.

È stata davvero un simbolo per tante ragazzine e ben prima di quella rivoluzione sessuale che cambiò per sempre i costumi. La Spaak ha incarnato quella malizia acerba che la faceva ingenuo oggetto del desiderio maschile, capace di provocare, ma con candore. Emblema perfettamente riassunto in La voglia matta, con Tognazzi che si ridicolizzava, umiliandosi, sbavando dietro la lolita Francesca, un'ossessione pur lontana dal canone delle maggiorate. Catherine è stata, per anni, la «voglia matta» di tanti uomini, l'icona del desiderio nascosto e del gusto del proibito.

Era nata nel 1945, da mamma Claudie, attrice, e papà Charles, famoso sceneggiatore anche per il nostro cinema. Una famiglia, la sua, che vantava anche uno zio, Paul-Henri, più volte primo ministro del Belgio. Origini borghesi che non le hanno impedito di diventare una sorta di «pecora nera» ribelle. Jacques Becker la ritrae, giovanissima, ne Il buco. Appare per due minuti, ma il dialogo preconizza quello che sarà il suo ruolo da icona. Lo spasimante, in carcere, le dice: «Sapessi quanto io desidero te, da morire. E tu non mi desideri?». «Sei troppo ansioso, tu», risponde lei, tra candore e sguardo sensuale. Lattuada ne capisce l'enorme potenziale e la lancia con il super censurato Dolci inganni (1960), dove è Francesca, una ragazzina invaghitasi di un 37enne, fra turbamenti e fine di un universo adolescenziale che scavalla il crinale dell'età adulta attraverso la prima esperienza sessuale: oggetto sì, ma attivo, del desiderio. Quasi normale il passaggio a un cult come La voglia matta, appunto, o nella scena simbolo de La noia in cui, nuda, viene ricoperta di soldi dall'amante adulto.

Il desiderio di emancipazione, del provare tutto e subito, che emergeva dirompente da questi ruoli, l'hanno trasformata nella principale «influencer» di quell'epoca, imitata anche nella moda e nel suo caschetto biondo; altro che Tik Tok. Del resto, era arrivata in Italia, quindicenne, da sola, con la voglia di diventare ballerina («ma ero troppo alta», diceva), rappresentando il realizzarsi di quel sogno di libertà di tante sue coetanee italiane. Era il modello a cui ispirarsi per ribellarsi agli adulti e alle loro etichette imposte, rendendosi indipendenti. Un conflitto generazionale, ben rappresentato dal rapporto padre-figlia, con Vittorio Gassman, ne Il sorpasso (1962). Indimenticabile è stata anche ne La parmigiana (1963), di Antonio Pietrangeli, dove seduce un seminarista e sembra sfidare l'Italia bigotta, provinciale e maschilista dell'epoca, con una spregiudicatezza che rasenta l'indifferenza.

Ma la Spaak è stata molto di più. Un talento naturale, emerso in pellicole d'autore e non, capace di passare dalla commedia al dramma senza colpo ferire. Recita, tra gli altri, in Break-up di Marco Ferreri, in L'armata Brancaleone, dove pronuncia «sono la tua pecorella, brancami, leone» (e nel quale denunciò il bullismo maschile nei suoi confronti) di Mario Monicelli, stringendo un sodalizio con Festa Campanile (da Adulterio all'italiana a La matriarca). Se la contendevano i migliori, trasformandola da provocante ribelle a signora borghese del cinema anni Settanta. Il che non le ha impedito di diventare anche una apprezzata cantante (7 album al suo attivo), di debuttare in tv nella Vedova allegra, diretta da Falqui, primo di una lunga serie, di scrivere libri. È stata anche un'ottima attrice teatrale e perfetta padrona di casa televisiva di Harem.

Una vita quasi da film anche a livello sentimentale, con quattro mariti (Fabrizio Capucci, Johnny Dorelli, Daniel Rey e Vladimiro Tuselli) e due

figli, Gabriele e Sabrina, quest'ultima avuta con Capucci e per la quale venne addirittura arrestata dopo essere scappata via con lei. Catherine Spaak è stata grande artista, ma anche donna colta, elegante, raffinata, garbata.

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