da Venezia
Lo schermo nero, voce fuori campo di Cate Blanchett che recita il testo scritto dal regista in cui la parola Madre, in relazione alla natura primigenia degli elementi, viene ripetuta decine volte. Poi lo schermo si inonda di immagini, di fuoco, di terra, di aria, di acqua. È Voyage of Time: Life's Journey, in concorso a Venezia 73, e nuovo marchio di fabbrica di Terrence Malick, uno dei registi statunitensi di culto che, dopo un pugno di film girati con intervalli decennali come La rabbia giovane (1973), I giorni del cielo (1978), La sottile linea rossa (1998), The New World (2005), ha dato un'improvvisa accelerazione alla sua filmografia con The Tree of Life (2011), To the Wonder (2012), Knight of Cups (2015). E con essa alla sua ricerca filosofica sull'origine della vita, del mondo, della grazia e dell'uomo. Novanta minuti di musiche di Bach, Beethoven, Haydn e Arvo Pärt e immagini di asteroidi, stelle, fenomeni celesti e terrestri, eruzioni dei vulcani sopra e sotto la terra. Ecco l'acqua, i pesci di tutti i tipi, le meduse meravigliose (come nell'italiano Spira mirabilis). Le foglie e gli alberi. E anche i dinosauri e gli uomini primitivi la cui ricostruzione digitale però fa un po' sorridere. «Che cosa significa dopo tutto questo essere noi qui, ora?» si chiede il regista. La risposta è semplice: l'amore ci tiene in vita.
Malick, ormai da The Tree of Life con Brad Pitt (qui produttore) che diceva più o meno le stesse cose, divide il pubblico tra
chi lo ama e chi lo ritiene un regista da National Geographic (che produce pure il film) o da salvaschermo del pc. Magari poi la giuria del festival rimarrà fulminata da questa sinfonia visiva e spunterà pure un premio.PArm
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