Nel bene e nel male Nino D'Angelo è sempre stato un fiume in piena. Ha fatto di tutto, dallo scugnizzo al cantante all'Olympia di Parigi e Madison Square Garden di New York; dall'attore al cantautore moderno e oggi si rilancia in triplice veste, con un nuovo cd, un libro autobiografico e una tournèe che dal prossimo marzo toccherà i maggiori teatri italiani. Intanto il titolo del disco e del libro hanno un titolo curioso e un po' polemico, Il poeta che non sa parlare e gli chiediamo subito perché. «Me lo diceva la mia maestra a scuola - risponde Nino divertito - che non sapevo esprimere i concetti ma che le cose che dicevano arrivavano al cuore, è quello che cerco di fare anche con la canzone. Io non parlo italiano parlo la lingua napoletana in tutte le sue sfumature».
Nel disco ci sono tanti ospiti come Rocco Hunt, James Senese e Peppe Servillo.
«Sì, per sottolineare la modernità del progetto. La presenza di Servillo mi riempie di orgoglio; è un grande attore e mi sono commosso quando ha accettato di leggere un mio testo».
Tra l'altro c'è un brano dedicato a Maradona.
«Sì, sono l'unico che ha girato un film con lui e abbiamo legato subito. Anche Maradona era uno del popolo ed era una persona veramente buona. La droga lo ha rovinato ma lui era sempre dalla parte dei poveri e ha aiutato gente che aveva bisogno in tutto il mondo. Questo è il mio ricordo su di lui».
Lei si arrabbia se la chiamano neomelodico.
«Non sono un neomelodico. La storia è venuta fuori perché da ragazzino cantavo per strada e avevo quei capelli biondi a caschetto ma io coi neomelodici non centro nulla. Con le mie canzoni e i miei film negli anni Settanta ho anticipato quello che sarebbe diventato il fenomeno Gomorra. Io ho inventato il pop d'amore. Voglio semplicemente essere chiamato cantante napoletano. È per questo che ho avuto successo, che ho venduto milioni di dischi e ho cantato in posti come il Madison Square Garden. All'etichetta di neomelodico non ci sto. Ho fatto tanti sacrifici».
A un certo punto si è avvicinato anche alla musica etnica.
«È molto ricca e variegata così ho inventato il mio etno pop. Mi piace considerarmi una specie di Khaled napoletano».
E poi la sua musica ha suscitato l'interesse di un genio come Miles Davis.
«Quando mi dissero che Miles Davis ascoltava e apprezzava la mia musica non sapevo neanche chi fosse. Pensavo a un calciatore del Napoli. Poi l'ho scoperto e mi sono inorgoglito. Grazie a lui ho conosciuto Billy Preston - che chiamavano il quinto Beatle - e ho suonato con lui».
Come è avvenuto?
«È venuto a trovarmi nel mio studio. Aveva ascoltato le mie canzoni da Miles e voleva conoscermi. Abbiamo suonato insieme e inciso Chicco di caffè. L'ha suonata la prima volta in modo divino come se la conoscesse da sempre o l'avesse provata prima».
E di Gigi D'Alessio cosa pensa?
«Siamo amici. Si è creata ad arte la nostra rivalità per far parlare ma presto faremo quattro concerti insieme all'estero. Lui è più pop italiano, io più pop napoletano».
Lei ama Napoli sopra ogni cosa.
«Sì, e anche la musica, quella di Roberto Murolo e Sergio Bruni, anche se io sono piu un "bruniano", infatti ho dedicato un album alle sue canzoni. Ma amo anche Mario Abbate e la sceneggiata di Mario Merola. Comunque dal libro e dal disco chi vorrà potrà scoprire le radici ci questo amore».
Rimpianti?
«Uno divertente. Quando girai il film Un jeans e una maglietta nel 1983 per soli sessanta biglietti non vinsi al box office contro Flashdance».
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