La Fondazione Cini di Venezia è una istituzione privata, con una grande biblioteca e una importante collezione d'arte. Tutti gli studiosi la frequentano, o l'hanno frequentata, avendone la massima considerazione. Il museo Guggenheim di Venezia è forse il museo di arte moderna e contemporanea più importante d'Italia: è privato ed è americano. Tutti lo considerano una istituzione paragonabile a qualunque museo comunale di Venezia. Ed è certamente il più visitato della città. Le fondazioni e biblioteche Berenson e Longhi a Firenze sono private e riconosciute importanti per gli studi di storia dell'arte. Le Gallerie d'Italia a Milano sono un vero e proprio museo, con collezioni e mostre temporanee, di proprietà di Intesa San Paolo. Il Fai, fondo per l'ambiente italiano, è un'associazione privata che custodisce e gestisce importantissimi monumenti, conventi, palazzi e ville (si pensi alla chiesa di santa Maria foris portas di Castelseprio) aperti regolarmente al pubblico e frequentatissimi. Le innumerevoli e importanti fondazioni private in Italia, magari sostenute da istituti bancari come il Palazzo Blu a Pisa, il museo del Divisionismo a Tortona, la Fondazione Chigi-Saracini a Siena, la Fondazione Roma a Roma, la Fondazione Genus Bononiae a Roma, sono istituzioni importanti, riconosciute dallo Stato, che ne condividono gli obiettivi spesso con attività di supplenza.
Per questo la tetra narrazione statalista della rapina di «sette grandi quadri», in realtà affreschi di Gian Domenico Tiepolo staccati dal loro contesto originario, per essere portati a casa Benetton, indica una visione arcaica e paleomarxista dei beni privati ma di interesse pubblico, o perché vincolati, come nel caso, o perché depositati presso fondazioni. La collocazione degli affreschi staccati, durante la guerra, da Palazzo Trento Valmarana e trasferiti temporaneamente nella sede provvisoria di palazzo Barbaran da Porto che io, ispettore storico dell'arte della Soprintendenza del Veneto, feci acquistare con prelazione allo Stato per destinarlo al Centro internazionale di studi Andrea Palladio, poi amplificato in Palladio Museum, era impertinente e determinata in stato di necessità dai bombardamenti, durante la Seconda guerra mondiale. La ricostruzione che viene fornita su un quotidiano, abitualmente fazioso e nemico di ogni virtuosa e legittima fondazione privata, non potrebbe essere più tendenziosa e anche falsa. Il racconto del distacco degli affreschi è commentato con grottesco moralismo e palesi errori, che hanno contagiato inevitabilmente i grezzi Cinque stelle e anche il bravo sindaco di centrodestra di Vicenza, prospettando al Ministero della cultura, e agli ignari lettori, una situazione drammatica non corrispondente al vero, e imponendo un vero e proprio ricatto con narrazioni false. La ricostruzione della storia degli affreschi, dopo lo strappo, è la seguente:
«Le pitture erano salve: anche se al prezzo salatissimo di averne reciso il legame con l'architettura e con la storia. Per evitare guai peggiori, le si sarebbero immediatamente dovute vincolare alla permanenza a Vicenza, e alla conservazione contestuale: così non fu, e oggi si trovano divise in varie sedi (una è l'Hilton di Roma, simbolo dello scempio urbanistico della Capitale!). Il nucleo più cospicuo è, appunto, quello delle sette grandi tele' ancora oggi esposte al pubblico godimento nelle sale del Centro Palladio a Vicenza. Ma il 10 maggio scorso, gli ultimi eredi di quel coraggioso Fausto Franco le hanno vendute: per 1.850.000 euro. E le hanno vendute ad Alessandro Benetton, il secondogenito di Luciano. E ora quel che non fecero le bombe della guerra potrebbe fare la forza senza freni del mercato: cancellare quelle opere dal patrimonio conoscibile della città di Vicenza». Tutte balle: la forza senza freni del mercato! Bum!
Cosa non funziona, dopo aver opportunamente provveduto, con l'intervento del bravo soprintendente Tinè, ad aggiungere al vincolo degli affreschi anche la loro pertinenza alla città di Vicenza? Non c'è niente da salvare, con tutte le garanzie che lo Stato assicura. Quello che il giornalista de Il fattaccio, che ha denunciato lo scandalo, dimentica è che anche Villa Valmarana ai Nani, come Villa barbaro a Maser, è proprietà privata ma, da sempre, la Palazzina, affrescata mirabilmente da Giambattista Tiepolo, e la foresteria, dipinta altrettanto mirabilmente da Gian Domenico Tiepolo, sono sempre state serenamente aperte al pubblico. Quello che il polemista ignora, o finge di ignorare, è che la famiglia Benetton si esprime a livello culturale con la consideratissima fondazione Benetton Studi e Ricerche, cui si devono plurime attività, sotto l'ottima direzione di Domenico Luciani e Marco Tamaro, e che non possono essere cancellate, anche in un riflesso internazionale, dalla vicenda colpevole del Ponte Morandi. E che il buon funzionamento della fondazione non può essere subordinato alla memoria dei morti del crollo, ma bensì garantito dall'impegno di grandi designer, artisti e architetti, da Tadao Ando a Oliviero Toscani ad Afra e Tobia Scarpa, nella tutela del paesaggio. Allo sviluppo ordinario e sistematico delle collezioni tematiche si sono affiancate, nel corso degli anni, non acquisizioni e donazioni importanti, tra cui quelle di Ippolito Pizzetti e di Fernanda Pivano. Chissà perché appare necessario che la proprietà di opere notificate e inamovibili debba essere dello Stato? Nella ricostruzione, sollevando il finto scandalo, ci sono altre gravi imprecisioni che servono a far sembrare inevitabile una tesi sbagliata. Completamente errato è il riferimento al ciclo di affreschi di Palazzo Valmarana di alcune opere conservate all'Hilton di Roma, oggi Waldorf Astoria, rappresentato non come uno spazio aperto al pubblico ad ogni ora del giorno e della notte, come è nei fatti, ma scimmiottando Antonio Cederna, come «simbolo dello scempio urbanistico della capitale». E cosa c'entra? Le tre tele mobili, non strappi di affreschi, non hanno niente a che fare con il ciclo di Palazzo Valmarana, e sono opere di Tiepolo.
Ulisse scopre Achille tra le figlie di Licomede; Apollo scortica Marsia; Ercole uccide Anteo, provenienti da Palazzo Sandi a Venezia, proprietà dei conti Da Schio, conservate per decenni nella villa di famiglia a Castelgomberto, dove non entrava nessuno, emesse legittimamente all'asta Sotheby's nel maggio del 2006. Furono acquistate dal magnate Angelo Guido Terruzzi, grande collezionista, che le pagò sei milioni di euro (facendoli risparmiare allo Stato) e le depositò permanentemente, auspice il ministro Rutelli, all'hotel Waldorf Astoria, di sua proprietà. «Sembra un museo, e invece è un albergo. Anzi è un Hotel trasformato in galleria», furono i commenti. Fui io stesso a suggerirglielo, chiedendo al ministero di non esercitare la prelazione perché le opere erano in mani sicure, garantite al pubblico godimento, nell'ambito di una fondazione che la famiglia Ferruzzi istituì in Villa Margherita a Bordighera. Perché si mettano insieme due cose tanto lontane, se non per la transitoria presenza in territorio vicentino, non si capisce; ma fa parte di quella azione di discredito di benemerite attività culturali di privati, che dovrebbero essere presentate in modo corretto, intendendone e illustrandone le finalità; a meno di non ritenere che tutto il patrimonio della fondazione Cini e del museo Guggheneim debba essere acquisito dallo Stato italiano. Ridicolo è pensare che tutto ciò che è privato è male, e tutto ciò che è pubblico è bene (con milioni di oggetti e luoghi pubblici chiusi al pubblico). Si confrontino la Biblioteca della Fondazione Cini con la Biblioteca statale di Archeologia e Storia dell'Arte in palazzo Venezia e nella sala della Crociera del Ministero della cultura al Collegio romano, sempre chiusa.
Grave errore è, oggi, che il ministro Franceschini, male informato sulla vicenda degli affreschi Valmarana, provveda a una inutile prelazione, quando bastava il semplice vincolo alla città di Vicenza stabilito dalla Soprintendenza, con alcune servitù richieste alla famiglia o alla fondazione Benetton, che non vuole dire il male assoluto.
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