Mantegna vs Bellini, due geni a confronto tra luci e ombre

Mantegna vs Bellini, due geni a confronto tra luci e ombre

Due nature simili e profondamente diverse, unite dal vincolo imprescindibile dell'arte, l'una più intellettuale e passionalmente legata al mondo antico, l'altra più assorta e raffinata, incentrata sul silenzio e l'importanza del paesaggio, due geni del Rinascimento italiano che, come in uno specchio doppio, la National Gallery di Londra ha messo in scena con la collaborazione della Gemaeldegalerie di Berlino per studiarne e approfondirne il rapporto. Quasi un centinaio di opere fra dipinti, disegni e sculture, grazie a prestiti eccezionali dall'Italia, Berlino, Parigi, dal British Museum e dalla Collezione Reale, Mantegna e Bellini (fino al 27 gennaio 2019 e da marzo a giugno a Berlino) è una rassegna su cui è quasi impossibile scrivere, tanta l'intensità delle opere per la prima volta messe e confronto, suddivise per temi lungo sei grandi sale.

Provenienti da mondi vicini ma lontani, padovano Andrea Mantegna (1431-1506) figlio di un falegname, veneziano Giovanni Bellini (1432ca-1516) della grande famiglia di pittori. Diventati cognati, Mantegna ne aveva sposato la sorella, Nicolosia, con la benedizione del padre Jacopo che dell'umile padovano aveva apprezzato la solitaria e straordinaria formazione sulle lezioni dei toscani e soprattutto di Donatello durante il suo lungo soggiorno a Padova. Ebbe così inizio il dialogo creativo, che sarebbe durato sette anni, tra i due artisti, cerebrale il primo nella sua energica definizione plastica di ogni elemento della composizione, più emozionale e istintivo Bellini, maestro della luce, dei colori e del mondo naturale.

Esplorando il cammino dagli inizi, alla Pieta' e al Paesaggio, dall'Antichità alle opere tarde, i curatori della rassegna, inglesi e tedeschi, si prefiggono di stabilire per la prima volta l'impatto che i due artisti ebbero l'uno sul lavoro dell'altro, dopo aver elaborato le medesime idee per diversi anni.

Nella prima sala, che apre con la Crocefissione di Jacopo Bellini dal museo Correr, più intensa di un Beato Angelico, La presentazione di Cristo al tempio capolavoro del Mantegna dalla Gemaeldegalerie di Berlino è accanto e in contrasto con la versione del Bellini dalla Fondazione Querini Stampalia di Venezia dipinta anni dopo, la sua pittura ancora in fieri. Ma queste due tele segnano già la differenza fondamentale fra i due, fra l'intensità profonda del primo e l'aspirazione a un'ideale classico di bellezza del secondo.

Mentre Mantegna si presentava maturo e formato, Bellini intorno al 1450 stilisticamente subisce ancora l'influsso di Mantegna e, in questo momento cruciale, la mostra presenta, nella seconda sala, una delle tante importanti giustapposizioni del loro lavoro quando vediamo una accanto all'altra le due grandi tele Agony in the Garden o Orazione nell'orto. Mantegna dipinse la tela nel 1455, Bellini trattò lo stesso soggetto due anni dopo. Il dipinto di Mantegna è definito dalla sua fascinazione per le rocce, per gli oggetti architettonici e il passato romano, come testimoniano i soldati sullo sfondo. Nella sua versione Bellini pur riprendendo molte idee da Mantegna, come il gruppo roccioso, gli apostoli dormienti, la posa di Cristo, la città in lontananza, conferisce alla la scena anche luce e atmosfera e un convincente senso dello spazio, non ultima la gloriosa striscia rosa all'orizzonte ad evocare l'alba, anticipando la sua pittura matura nelle grandi pale d'altare e minute opere devozionali che ne avrebbero assicurata la fama.

Allo stesso tempo la Crocefissione del 1456-59 del Mantegna, radiosa e chiara e fitta di dettagli microscopici contrasta con la Crocefissione di Bellini, entrambe dal Louvre, dipinta un decennio più tardi, è soffusa di una luce più tenue, e dolce, che trasmette tutta la grazia, la leggerezza e la dignità straordinarie che raramente troviamo in Mantegna. Del resto la sensibilità sottile di Bellini è sempre evidente, come quando dipinge quella splendida geometrica e intensa Imago Pietatis (dal Museo Poldi Pezzoli) in cui il paesaggio è sempre centrale con qualche citazione rocciosa dal Mantegna, o il Cristo morto sostenuto da due angeli (da Berlino) che contrasta con la fredda perfezione del San Sebastiano del Mantegna (da Vienna).

Tuttavia la mostra sottolinea tutta la grandezza di Mantegna. Se la sua grande tela Il trionfo della virtù è lontana dal nuovo ideale classico rappresentato da Giovanni Bellini, la sua irriducibile passione per il sogno eroico del mondo antico emerge nell'ultima sala da alcuni esemplari delle nove grandi tele del Trionfo di Cesare (dalla Collezione Reale) che dipinse per Ludovico Gonzaga a Mantova. Qui le osserviamo non lontane dagli scultorei monocromi del Bellini.

Mantegna l'artista intellettuale non

ha pari, Bellini restò aperto alle suggestioni del cognato, superandolo nella luce e mantenendo intatto il proprio ideale di bellezza. Due geni messi sapientemente a confronto, impossibile scegliere, e del resto inutile.

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