Marsiglia, amori e nazisti. La fuga dall'Europa della "profuga" Seghers

Il ritorno di "Transito", romanzo che racconta intrighi e passioni nella città francese nel 1940

Marsiglia, amori e nazisti. La fuga dall'Europa della "profuga" Seghers

Nella Marsiglia del 1940, quando la Francia sconfitta si ritrova per metà occupata e per l'altra metà libera, ma di fatto obbligata a collaborare con l'occupante, si accalca un'umanità esule da mezza Europa. Per andarsene dal continente in fiamme, l'unica via d'uscita è il mare, e il porto cittadino è il primo approdo e insieme il punto di partenza per lasciarsi dietro il Mediterraneo e, superato lo stretto di Gibilterra, navigare finalmente verso il nuovo mondo.

Anche Lisbona, protetta dalla neutralità del Portogallo, adempie alla stessa funzione, ma per arrivarci via mare occorre un visto d'ingresso con un annesso visto di transito, e via terra vuol dire scavallare ufficialmente tre frontiere, tre controlli di confine, tre nazioni, Francia, Spagna e Portogallo, che per motivi diversi e contingenti non vogliono far entrare o non vogliono far uscire nessuno. Certo, c'è la «via del contrabbando», degli «spalloni», di chi per denaro, per amicizia, per militanza politica, accetta il rischio di farti passare illegalmente. Ma anche qui, una volta giunti con il miraggio di Lisbona la condizione di clandestino porta con sé la necessità di falsi documenti per il viaggio atlantico e, con questi, i maledetti visti che lo rendono possibile. Tutto sommato, chi scommette su Marsiglia rispetto a Lisbona lo fa in una logica costi-benefici, ma sa anche che è una corsa contro il tempo, perché prima o poi l'occupante tedesco chiuderà anche lì i rubinetti dell'acqua, farà di quell'unico sbocco una gigantesca trappola per topi.

La cosiddetta «fuga dall'Europa» all'inizio del secondo conflitto mondiale è un tema che ha appassionato più di uno scrittore, dall'Erich Maria Remarque di La notte di Lisbona al Frederic Prokosch di The Conspirators, sempre a Lisbona ambientato, alla Anna Seghers (1900-83) di Transito (L'Orma, pagg. 285, euro 19 traduzione di Eusebio Trabucchi, il libro uscì la prima volta in Italia per Editori Riuniti nel 1953) che invece proprio Marsiglia ha per base.

Tedesca come Remarque, e come lui in rotta con il regime nazista, a rendere differente la loro situazione era che l'autore di Niente di nuovo sul fronte occidentale se n'era andato dalla Germania in Svizzera già nel 1931, per poi stabilirsi negli Stati Uniti. Con l'arrivo al potere di Hitler, la Seghers aveva invece scelto la Francia come terra d'asilo e Parigi come domicilio, e ora si trovava proprio nella condizione del protagonista del suo romanzo: dalla capitale, dove si erano insediati i tedeschi, era fuggita a Marsiglia, da Marsiglia stava cercando di imbarcarsi per il Messico Questo spiega probabilmente la particolarità di Transito, libro che aveva a che fare con la propria vita vissuta, mentre quello di Remarque era invenzione narrativa. Chi come lei si era ritrovato nel caos di profughi, visti, navi e porti era semmai Prokosch, con la differenza sostanziale che quest'ultimo, cittadino americano, dal Portogallo poteva andarsene quando voleva e fra Lisbona e Cascais, fra alberghi di lusso e casino conduceva la vita beata di chi osservava la catastrofe senza sentirsene minacciato. Questo spiega anche perché The Conspirators sia una storia di spie, doppio giochi, ambienti chic e corruzione, mentre Transito racconta di buoni pasto, camere di pensione squallide, brasseries da pochi franchi Questo spiega, infine, perché il vero protagonista del romanzo della Seghers non sia tanto una figura umana, ma l'assurdo che le circonda tutte, simboleggiato appunto da quel visto che è un po' la metafora della sordità universale rispetto a catastrofi particolari. «Anche di fronte alla distruzione del Vecchio continente, i Paesi extraeuropei concedono con il misurino il permesso per espatriare: non vogliono profughi, non vogliono guai, non è un loro problema «Ogni nazione ha paura che quelli come noi invece di passare, vogliano restare. Un visto di transito è il permesso di attraversare un Paese con l'assicurazione che non si voglia rimanere». Solo che anche per restare occorre un visto, ovvero un permesso di soggiorno, così come per poter aspirare a quello di transito occorre prima un visto d'uscita, e per tutti c'è sempre e comunque una data di scadenza, superata la quale, come in una giostra infernale, si ripartirà da capo, a meno che, intanto, quel profugo non abbia preso la strada di un campo-rifugiati, un campo di lavoro, un campo di concentramento, una dose di cianuro, un colpo di pistola

Scritto sul tamburo e di furia a ridosso degli eventi raccontati, pubblicato nel 1944, Transito fa parte, insieme con La settima croce e il racconto La rivolta dei pescatori di Santa Barbara, delle cose migliori della Seghers, prima che la didascalia marxista e l'ortodossia comunista la trasformassero nel megafono politico di quella Germania orientale nata dalle ceneri e dalla successiva divisione della Germania nazista. In Transito non siamo ancora ai dogmi ideologici e l'io narrante del romanzo, Seidler, è un giovane operaio senza coscienza di classe e molto egoismo individuale: vorrebbe essere lasciato in pace, vorrebbe essere dimenticato È un incontro fortuito a trasformarlo in quello che non è, lo scrittore Weidel morto suicida e di cui quasi suo malgrado ha assunto l'identità, e con questa tutti i documenti necessari per imbarcarsi a Marsiglia per il Messico. Ma Weidel a Marsiglia ha una moglie che lo attende, nonostante non stiano più insieme, nonostante lei abbia un altro. Si tratta però della stessa ragazza di cui Seidler si è intanto innamorato e ora non può spiegare a lei che ha preso il posto del marito, lei che non riesce a capire perché quest'ultimo, che tutti giurano di aver visto nei vari consolati dove si celebra l'algida burocrazia dei visti, non si faccia vivo.

Romanzo per molti versi corale, dove la stupidità, la paura e il tradimento arretrano a volte di fronte alla forza morale della resistenza e della solidarietà, Transito racconta il lutto che nasce «dalla disperazione e dalla nostalgia per la propria terra», «il lutto per i miei ventisette anni perduti, sprecati, dissipati in paesi stranieri», ma anche

«la vecchiaia immensa, millenaria», portatrice di immortalità con cui nei porti dove «finiva l'Europa», da sempre, e nonostante tutto e tutti, «si è dato asilo agli stranieri perché c'era una strada che sfociava in mare».

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