Innanzitutto, la ricerca dona piacere. «Studiare i miei neutrini mi dà gusto, un gusto fisico» dice Antonio Ereditato, 55 anni, laurea in Fisica a Napoli (la sua città), professore di Fisica delle particelle elementari all'Università di Berna (dove dirige il Laboratory for High Energy Physics), che svolge le sue ricerche anche al Cern di Ginevra, al Fermilab di Chicago e in Giappone. C'è la prova: «Il piacere sessuale, quello del gioco e quello della scoperta scientifica sono collegati all'attivazione delle stesse molecole, nel cervello: fare lo scienziato è un godimento». È per questo che il suo nuovo libro, scritto con l'amico Edoardo Boncinelli, si intitola L'infinito gioco della scienza (ilSaggiatore, pagg. 174, euro 16); il sottotitolo è «Come il pensiero scientifico può cambiare il mondo», perché la scienza ha davanti grandi sfide, la prima delle quali è... difendersi, pare.
Professor Ereditato, la scienza è davvero sotto attacco?
«Sì, siamo sotto attacco da parte dei terrapiattisti, degli uno vale uno, dall'elogio dell'ignoranza, dalle bufale, dalle fake news. Il nostro è un tentativo di resistere al buio che avanza».
Beh, sono stati mesi un po' particolari.
«Sì, però, sa che cosa le dico? C'è una frase dell'ex sindaco di Chicago, Rahm Emanuel, mai sprecare una crisi; ecco, col Covid, la scienza è diventata un bene rifugio, come l'oro durante le crisi finanziarie: tutti a elogiare la scienza, i virologi, abbiamo bisogno di voi, il vaccino...»
È ottimista?
«Io sono pessimista. Appena si riprende a bere lo spritz si vende l'oro e si ricomprano le azioni, ovvero ci si distacca dalla scienza e si ritorna ai mali di prima».
Neanche un filo di ottimismo?
«Almeno adesso ci laviamo le mani».
Come può rispondere la scienza agli attacchi?
«Ah, la scienza ha lo strumento per rispondere alle fake news e all'oscurantismo, ed è lo spirito critico. Lo spirito critico è tutto. Il fact checking l'ha inventato Galileo, non la Cnn, ed è l'arma vincente nelle mani degli scienziati, e di chi ne adotta il metodo».
Come fa la scienza a cambiare il mondo?
«In due modi. Il primo è attraverso i suoi risultati, che sono scoperte e osservazioni della natura, da cui scaturiscono applicazioni pratiche. C'è un legame inscindibile con le applicazioni, ma la ricerca dev'essere libera, guidata solo dalla curiosità, non una ricerca a comando».
Ma in quanto scienza, come fa?
«Grazie al messaggio, l'etica scientifica che, applicata alla società e alla realtà, parla di tolleranza e apertura verso l'ignoto».
Gli scienziati litigano, non è che la comunità sia un idillio.
«Ma quando c'è la verifica sperimentale, noi capiamo chi ha ragione e chi ha torto e, al contrario di altri, come i politici, lo accettiamo. In questo siamo sovietici».
Passando alle altre sfide, il libro parla della Big Science. Che cos'è?
«Nasce come la fisica gigantesca, del Cern e dei grandi esperimenti e, poi, ingloba altri esempi, come le imprese spaziali, se non è Big science andare su Marte... È grande per il numero di scienziati che lavorano al progetto, le quantità di denaro dei finanziamenti e la complessità».
Una sfida poco nota riguarda i neutrini fossili. Di che si tratta?
«Meno di un secondo dopo il Big Bang è stata prodotta una quantità immensa di neutrini, un grande caos. Con l'espansione dell'universo la loro energia è andata degradando, ma quei neutrini ci sono ancora, anche se con una energia ridicola, così bassa che non riusciamo a rilevarla».
Però ci sono?
«Ci sono, e sono circa 300 per centimetro cubo di universo, ovunque, anche nello spazio intergalattico vuoto e freddo. Rivelarne l'esistenza sarebbe una scoperta da Nobel, fondamentale, perché otterremmo una megafoto, uno snapshot dell'universo quando aveva un secondo di vita. Non da poco...»
E nel suo campo, la fisica delle particelle, il prossimo traguardo qual è?
«Guardare oltre il modello standard, la cui ciliegina è stato il bosone, che abbiamo trovato al Cern, ma non ci fermiamo qui: i fisici sono come bambini che costruiscono un castello di sabbia, dopo tanti sforzi per arrivare alla fine lo distruggono».
Volete distruggere il modello standard?
«Cerchiamo un modello in cui entrino anche la materia oscura e l'energia oscura. Poi la sfida è la stessa, sia all'esterno, sia all'interno di noi, perché, per una coincidenza particolare, conosciamo circa il 4-5 per cento del budget di energia e materia dell'universo, così come conosciamo solo il 3-4 per cento del nostro Dna, quindi la domanda è: e il resto? Difficile credere che l'evoluzione ci abbia lasciato un 97 per cento di Dna che non serve a niente».
Oltre alla biologia ci sono le neuroscienze alle prese con grandi misteri.
«Per dirne una facile, i meccanismi della coscienza, o della memoria, o del linguaggio... E perché l'evoluzione darwiniana ci ha reso autocoscienti, qual è il vantaggio biologico?».
La sfida che più la affascina?
«Trovare vita su altri pianeti. Sarebbe la scoperta dell'umanità. E, anche, un bagno di umiltà».
È plausibile?
«Molto, per un puro discorso di probabilità: sono così tanti i pianeti abitabili, che sembra impossibile si sia sviluppata la vita soltanto da noi. È per questo che hanno bruciato Giordano Bruno».
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