Irlanda, anni Venti della guerra civile in quella che, pur essendo un'isola resta comunque, per chi vive sulle isole minori della costa occidentale, il continente, la terraferma. Qui, capire cosa lì succeda, è complicato, non come quando quelli «da combattere e da ammazzare erano gli inglesi e quindi tutto era chiaro come il sole»... Le notizie di ciò che lì succede arrivano in battello e arrivano sempre tardi e la vita a Inisherin, uno di questi microcosmi in mezzo al mare, è insieme comunitaria e mitica. Si sa tutto di tutti, si parla e si sparla, si va a messa alla domenica e spesso ci si confessa, ma si è anche portati a credere alle streghe, alle leggende, la religione in forma di superstizione. The Banshees of Inisherin, ovvero Gli spiriti dell'isola, si intitola la canzone che Colm sta componendo, bella e triste nel racconto di un mondo dove il destino non è nelle tue mani, ma appunto in quegli spiriti capricciosi che decidono al tuo posto. Sta invecchiando, Colm, soffre di depressione, sente che il tempo gli sfugge e che di ciò che ha fatto fino ad allora non resterà traccia una volta morto. Solo la musica può sfidare il tempo e risuonare lungo i secoli, ma per comporre ha bisogno proprio di quel tempo che finora, pensa, si è limitato a sprecare. È per questo che ha deciso, di punto in bianco, di interrompere quella che è una lunga amicizia, un'amicizia di anni, con Padraic, più giovane di lui, più semplice di lui, meno colto e meno, come dire, artista, uno che di colpo incarna per lui la noia della vita. Padraic ha delle mucche, un carretto con un asino e un cavallo, vende il suo latte all'emporio centrale e la sua giornata è scandita dal pascolo e dal pub. Ha anche una sorella, Siobhan, lettrice accanita che spera in un posto di bibliotecaria sul continente, e che in fondo gli fa da madre. È destinata a rimanere zitella, Siobhan, perché donne come lei mettono sempre il maschio in soggezione...
La rottura dell'amicizia con Colm è per Padraic tanto inattesa quanto incomprensibile. Proprio perché è un uomo semplice, Padraic è un uomo gentile. Non ha mai fatto un torto a qualcuno, è sempre stato buono con tutti. C'è chi scambia la sua gentilezza per debolezza di carattere, ma lui alza le spalle. Sa che non è vero e poi non gli interessa più di tanto. Come tutti gli irlandesi però è testardo, ma più cerca di capire e non si rassegna, più la testardaggine, anche qui, di Colm si trasforma in una sorta di tortura che quest'ultimo infligge a sé stesso, ma che sta a sottolineare il suo disprezzo nei confronti dell'amico di un tempo: se Padraic insiste nel volerlo incontrare, parlare, nel non volerlo lasciare in pace, si mutilerà, lui violinista, prima di un dito, poi di un altro, della mano sinistra e glieli getterà sulla porta di casa...
Già regista di Tre manifesti a Ebbing, Missouri, con The Banshees of Inisherin Martin McDonagh porta in concorso una ballata di dolore, tristezza e follia e lo fa affidandosi a due interpreti superlativi, Colin Farrell (Padraic) e Brendan Gleeson (Colm) che già avevano lavorato con lui nel suo film d'esordio, In Bruges - La coscienza dell'assassino. Gli mette intorno un cast di tutto rispetto, Kerry Condon, Barry Keoghan, ma soprattutto gli mette intorno i paesaggi di Irlanda, la natura, l'amore per gli animali, quel senso di sospensione cosmica delle cose che è tutt'uno con una certa anima celtica, la pioggia e i mari tempestosi, il verde brillante e le croci runiche, le atmosfere fumose e le sbronze epiche, i rossi sfavillii delle albe e dei tramonti, l'ineluttabilità delle cose che nasce dall'incapacità di porsi un freno, di accettare una possibile mediazione. Per certi versi, in questa storia di amicizia che finisce in tragedia, in quanto chi vi è coinvolto tiene soltanto alla propria immagine, non all'eventuale soluzione del conflitto che lo riguarda, c'è la metafora di quella guerra civile insensata in cui gli irlandesi presero a massacrarsi fra loro perché nessuna delle due parti in lotta accettava di perdere la faccia.
Fra i film in concorso e no qui a Venezia, The Banshees of Inisherin è il più classico e il meno
compiaciuto. Non ci sono cannibali, sessi incerti, obesità colpevoli, nazisti redenti dal giardinaggio... C'è la tragicità del vivere sapendo di dover morire e contro la quale la semplicità dell'essere umano si trova disarmata.
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