Per la cronaca è il primo film del concorso della 77a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica accompagnato da qualche fischio nelle due proiezioni per la stampa. Intendiamoci però, pochi fischi (nonostante le mascherine), isolati, quasi messaggi personali al regista che è Gianfranco Rosi, pluripremiato nel 2016 con Fuocoammare, tra cui l'Orso d'Oro a Berlino, e oggi, con Notturno, nella pattuglia dei quatto film italiani al festival che l'ha consacrato nel 2013 con il Leone d'Oro per Sacro GRA con Bernardo Bertolucci presidente di giuria. Questo il biglietto da visita di uno dei più importanti cineasti contemporanei del cosiddetto «cinema del reale» che un tempo si chiamava «cinema documentario». Ma di certo le etichette stanno strette alle opere di Rosi che lavora a lungo sul campo girando tantissimo materiale per poi cercare di trovare quella che lui chiama «sintesi».
Notturno, da oggi nelle sale e poi in tour praticamente in tutti i più importanti festival mondiali (Toronto, Telluride, New York, Londra, Busan, Tokyo...), è un film girato nel corso di tre anni in Medio Oriente sui confini fra Iraq, Kurdistan, Siria e Libano, che racconta la quotidianità che sta dietro la tragedia delle continue guerre «di cui confida il regista faccio ancora fatica a comprendere i motivi», perché certo «io mi sono mosso su confini disegnati a tavolino dalle potenze coloniali che non esisterebbero nella realtà, si tratta per me di confini mentali anche se lì si vive ogni giorno tra la vita e la morte».
Ed è proprio questo che Rosi ha voluto raccontare, esseri umani che sono testimoni di quella insensatezza senza farci vedere alcuna immagine di guerra reale. Tanto che l'idea iniziale, che il titolo tradisce, era proprio di girare tutto di notte, al buio: «Pensavo che mi sarei sentito più protetto ma poi ho capito che non aveva senso. Era giusto invece mostrare il profondo denso di amore non è retorica delle persone che ho incontrato e che tanto hanno sofferto muovendosi su un confine, appunto, tra la vita e l'inferno. Ho avuto un'identificazione e una corrispondenza con ciascuno di loro anche se non conoscevo la lingua. Volevo partire da dove finiscono le notizie su quei luoghi nei notiziari internazionali, sperando di essere riuscito a portare uno sguardo diverso sul Medio Oriente».
Accompagnato da immagini di rara bellezza estetica, che poi è il difetto che alcuni critici imputano al suo cinema, dunque non così documentario ma molto (ri)elaborato, Notturno si muove ondivago su volti e territori di cui non sappiamo mai la provenienza e la collocazione geografica. Perché i film di Gianfranco Rosi fanno a meno, per fortuna, della voce fuori campo mettendo da parte qualsiasi intento didascalico. Rosi confida nella forza del cinema che può raccontare, anche in una sola inquadratura fissa, tutto il mondo intorno. Ecco le madri che piangono i figli scomparsi ripercorrendo i loro passi in prigioni ora abbandonate, i bambini balbettanti che raccontano l'orrore perpetuato dagli uomini dell'Isis, un cacciatore di frodo che si muove fra i canneti e i pozzi di petrolio con un ragazzino, simile a un cane da riporto, che gli si offre come aiutante per un 5 dollari al giorno, le famose guerrigliere curde filmate nei loro momenti di attesa prima dei combattimenti che rivedono, come se fosse un film, su un tablet, e poi i militanti dell'Isis stipati in carcere in uno stanzone senza letti, proprio come i bambini di un orfanotrofio, per finire con una mamma che ascolta i vocali della figlia ancora prigioniera dell'Isis.
Anche in questo film, tre sono gli elementi basilari del cinema del regista nato ad Asmara dove lavorava il padre dirigente di una banca dell'Iri: «La trasformazione della realtà con il linguaggio del cinema e l'autorità del reale, la sottrazione perché ho lavorato moltissimo sulla sintesi e l'essenzialità delle storie».
Rosi che ha dovuto, in varie situazioni, dormire con le milizie, anche nemiche tra loro, ha pure rischiato grosso quando «al confine tra Irak e Iran, in una zona dove c'era il coprifuoco di notte, si è sparsa la voce della nostra presenza e siamo stati molto vicino a un rapimento». Cinema del reale...
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