Mezzobusto, comico per intero e teleprovocatore perfetto

Prima tutto show e sregolatezza, poi solo talk e ortodossia. Le doppie vite di un moralista per finta e servile per davvero

Mezzobusto, comico per intero e teleprovocatore perfetto

Istrione e istriano è di Padova ma discende da famiglia ebraica originaria della città omonima di Parenzo, costa occidentale della penisola istriana, che in croato si dice «Porec», in tedesco «Parenz», in veneto «Parenso, Bàsime i durèi» - Davìd Parenzo, con l'accento sulla «è» di «il prediletto di Jahvè», è simpaticissimo come persona. Ma come personaggio È il côté moralistico, perbenista per finta e servile per davvero, che lo rende insopportabile. Hai presente il compagno sfigo del liceo - leccaculo, spione, ruffiano - al quale spalmavi la sedia con la colla Pritt, e che oggi ti diverte alla cena di classe, ma poi non vorresti più averci niente a che fare per il resto della vita? Ecco.

Ecco: la vita di Parenzo Davìd con la P e la D, come Pd ha un paio di prima e un paio di dopo.

Dal punto di vista professionale il primo Parenzo è un enfant-quasi-prodige della tivù, emittenti locali e ambizione globale: Odeon (esordio a 22 anni con una rubrica sulla mostra del cinema di Venezia, Tutto quello che avreste voluto sapere sul Festival ma non avete mai osato chiedere, dove già si capisce che gli piace più fare spettacolo che informazione), poi Telenuovo - Prima Pagina, polenta e sarde in saòr e Telelombardia, rete controllata da Sandro Parenzo, ma naturalmente è solo un'omonimia, dove Davìd conduce trasmissioni di approfondimento politico: prima serata, Iceberg e un'innegabile predisposizione a tenere la scena.

Cisalpino e patavino, figlio disconosciuto del Nordest, il puteo - cervello svelto e occhio aguzzo - ha buona cultura generale, tempi perfetti, velocità e talento da cabaret: è ciò che serve per uscire dalla provincia in pochi anni: due, tre, quattro, cinque, sei, La7 È il secondo Parenzo, il mezzobusto arrivato che però non vuole smettere di fare il primattore, il giornalista composto che poi si esalta nelle performance alla Zanzara, il conduttore affermato di talk che non dimentica la vocazione naturale allo show. Un po' polemista e un po' paraculo, Parenzo è come l'omosessuale non confesso: si sente mattatore, ma deve farsi vedere giornalista.

E dal punto di vista confessionale, è lo stesso. Il primo Parenzo figlio del presidente della comunità ebraica di Padova è un ultralaico che racconta le barzellette sugli ebrei e la cui soglia di osservanza è abbondantemente sopra il consumo della luganega trevisana. È il Parenzo eternamente fuori corso, le domeniche pomeriggio al «Wag», i concerti al «Banale», le birre al «Lucifer Young», i panini da «Giovanni l'onto» Torà, Menorah, trasgressione (moderata però: è un ragazzo molto borghese, urbanocentrico, piazze, pizze e Ztl oriented).

Poi la conversione, in un Amen. Da Padova a Roma: qui conosce Nathania Zevi, giornalista e nipote di Tullia Zevi. Cognome illustre e schierato (il fratello, Tobia Zevi, già candidato sindaco del Pd a Roma, ora è assessore al Patrimonio e alle politiche abitative). Comunque, col suo lato giullaresco il primo Parenzo riesce a sedurre l'impegnativa Nathania, la quale lo trasforma nel secondo Parenzo: gli fa coltivare relazioni mondane, gli insegna a stare a tavola e gli rifà il guardaroba: dalle giacche fuori taglia da studio televisivo di provincia agli abiti su misura della bottega napoletana «Imperatrice Sartoriale». Una nuova vita, due matrimoni, quattro figli. Ma aprirsi all'alta società significa chiudersi in una caserma precettistica, ed ecco il Davìd osservante rigido e metodico. È il Parenzo che durante lo Shabbàt non può scrivere, non risponde al telefono, non cucina, non accende la luce «Davìd, domani sei di turno alla 7!». «Non posso, è lo Yom Kippur». «Ma va' in móna!». E così Parenzo riscopre un'identità che pensa di aver avuto da sempre. Dentro resta uno scamiciato che alla Zanzara litiga con Cruciani e si insulta con gli ascoltatori, ma al compleanno di Nathania, compostissimo, invita Mieli e Ferrara, ospiti d'onore. «Yom hu'ledet sameach».

La stella di David, ormai, brilla altissima.

Sempre in parte ma di parte, osservante del detto ebraico «Mezza verità è una menzogna intera», da cui le sue fake news, fazioso (ma non ideologico: mai fatta una battaglia politica in vita sua), lucidissimo, ben allineato e coperto dal mainstream progressista, europeista, atlantista, draghista, Parenzo è un ex Fgci, già radicale diventato ortodosso e radical Pèsach. Politicamente confuso, ma corretto. E dietro il commentatore monotono c'è sempre il capocomico da varietà. Il suo punto forte è inzigare gli ospiti, aizzare i fanatici, irrigidire le posizioni, fomentare... da cui il detto «Parenzo lo strenzo».

Battutista l'insopprimibile witz ebraico - sarcastico, cinico, dispettoso (qualcuno ha detto «cattivo inconsapevole»), Parenzo vorrebbe essere Theodor Herzl. Resta solo un buon imitatore, dai tempi in cui faceva gli scherzi telefonici fingendosi Umberto Bossi: ora mima Feltri, e gli viene anche male. Condurre da solo, non ce la fa. Ma come telespalla, è perfetto.

Banale, venale (adora le querele: Ti porto via tutto!!), una carriera sempre In onda, tra qualche alto (i trashissimi pas de deux con Cruciani) e molti bassi (La guerra dei mondi, chiuso dopo quattro puntate; Radio Belva, sospeso dopo la prima), Parenzo è un incassatore formidabile - «Una volta un tassista di Roma mi ha tirato su. Ho chiesto: a Montecitorio, grazie. E lui: Ahò, ma lei non è quer cojone comunista de Parenzo? Scenda subito!. Mi danno anche del giudeo. Eppure eccomi qua, ancora vivo» - e un improvvisatore magistrale. Gli annali di Matrix, sotto l'egida di Luca Telese, ricordano quando da inviato organizzò un collegamento esterno in cui faceva incontrare, dopo settimane di atti violentissimi di intolleranza razziale, una comunità rom e un gruppo di Casa Pound. Una diretta che doveva passare alla storia. Ci passò. L'appuntamento è all'ultimo blocco della trasmissione. L'attesa è febbrile. Al momento fatidico i rom non si presentano, mentre i militanti di Casa Pound, innervositi, se ne vanno subito. Parte il collegamento. Parenzo, rimasto improvvisamene solo, nel cuore della notte, nel mezzo di una rotonda deserta, estrema periferia romana, non demorde. Non c'è nessuno, ma lui si attacca a una rete a bordo strada e inizia a gridare nel buio, al vuoto: «Non andate via! Dialoghiamo! Parlatevi. Siamo tutti umani! Voi cosa volete da loro?! Discutiamo: stasera sarà per tutti una riconciliazione!». Un one man show da antologia, per mezz'ora di diretta, che è un monumento all'ostinazione giornalistica. Il giorno dopo il suo servizio segna il 9% di share. A suo modo, un trionfo.

Ma a pensarci Parenzo, che trasforma ogni pezzo giornalistico in un colpo di teatro, ha anche fatto di meglio. Gennaio 2015, Giorno della memoria: servizio per Matrix dentro il campo di Auschwitz. Le cose vanno per le lunghe e quando si chiude il collegamento, dentro il campo non c'è più nessuno. I guardiani chiudono i cancelli e Parenzo e il presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici restano bloccati dentro il lager. Dopo ore, abbandonati da tutti, rompono una finestra, suona l'allarme, interviene la polizia polacca, interrogatori, accusa di effrazione, notte che si conclude grazie all'intervento dell'unità di crisi della Farnesina. Il giorno dopo The Jerusalem Post titola: «Due ebrei rinchiusi ad Auschwitz per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale». Parenzo è un eroe. Una Golda Meir patavina. «Eravamo dietro il cancello con il famoso motto Arbeit macht frei dichiarò -. Non fu una bella esperienza».

Attento Parenzo, c'è di peggio. Come recita un noto proverbio Yiddish, «Sulla porta del successo le scritte sono due: ENTRATA e USCITA».

Ti aspettiamo fuori.

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