Fino a poco tempo fa il nome di Paolo Fresu era noto soltanto agli appassionati di jazz. Poi è stato invitato a Bergamo, a celebrare i morti di Covid a un anno dalla pandemia. Così il suo flicorno ha commosso tutta Italia e lo ha fatto conoscere un po' ovunque. Ma a parte questa significativa esperienza Paolo Fresu è un vulcano di progetti e di idee che spaziano dalla musica al teatro all'intrattenimento in generale. Da poco infatti ha inciso Tango Macondo, disco in trio cui contribuiscono anche le voci pop di Elisa, Malika Ayane e Tosca e che riprenderà a girare l'Italia in forma teatrale in febbraio.
Cosa ricorda dell'esperienza a Bergamo?
«Un brivido così non l'avevo mai provato, è un ricordo forte che non dimenticherò mai e spero con la musica di avere onorato quei morti e lenito un po' il dolore».
E poi c'è questo nuovo progetto.
«Sì, Tango Macondo, lo definirei un'opera popolare che sta tra realtà e fantasia, per tromba e due strumenti a mantice, con accenti sudamericani, insieme a Daniele Bonaventura e Pierpaolo Vacca e con tre stelle della musica pop che mi hanno aiutato».
Come le ha convinte?
«Hanno apprezzato subito il progetto. Malika Ayane da Milano, Elisa da Monfalcone e Tosca da Roma hanno registrato il loro contributo che è il cuore delle ballate dell'album. Il disco è ricco di rimandi letterari e di citazioni che vanno dalla mia Sardegna alla misteriosa Macondo».
Ci ricorda come ha iniziato la sua carriera?
«A 10 anni suonavo nella banda del mio paese, Berchidda. Poi un amico, figlio di un dentista, mi fece ascoltare per la prima volta il jazz e fui folgorato. Ci ho dato dentro e nell'84 sono stato premiato come migliore artista jazz italiano. Da lì la mia vita è stata solo la musica. Organizzo il Festival Jazz di Berchidda che oramai è conosciuto un po' ovunque, ho una casa discografica e mi dedico ai progetti in cui credo».
Che sono molto vari.
«Sì, per celebrare Bologna ho fatto un disco, Popoff, con le canzoni più famose dello Zecchino d'Oro in versione jazz».
E da poco ha fatto un disco ed esegue dal vivo il repertorio di David Bowie.
«Sì, ho rischiato facendo Heroes, l'ho inserito nel triplo cofanetto 60 che celebra i miei anni, ma sono stato premiato. Non dovrei dirlo ma ho dovuto raddoppiare la stampa delle copie perché, per il mercato jazz, è stato accolto molto bene. Molti credono che il rock sia solo canzonette, ma non è affatto vero, anzi. Specialmente nel caso di David Bowie che ha scritto brani di grande complessità armonica. Amo molto Space Oddity».
I suoi jazzisti di riferimento?
«A costo di essere banale devo citare l'estenuante ricerca sui suoni di Miles Davis e la musicalità di Chet Baker, anche se bisogna sempre guardare alla tradizione e
quindi risalire fino a Louis Armstrong con i suoi suoni roboanti. Ma non mi limito ai trombettisti, personaggi come John Coltrane o Billie Holiday con quella voce così calda hanno lasciato un segno profondo dentro di me».
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