Il migrante e i suoi sponsor politici

Nel saggio di Daniele Scalea si smentiscono i luoghi comuni buonisti

Nonostante i media ideologicamente orientati ce la stiano mettendo tutta per far sembrare vero il contrario, «la critica all'immigrazione, che sempre più sta prendendo sostanza politica in tutto l'Occidente, nulla ha a che fare col razzismo o con fobie irrazionali». Ce lo spiega, con dovizia di dati e con una serrata analisi teorica, Daniele Scalea nel suo bel libro Immigrazione. Le ragioni dei populisti (Historica, pagg. 168, euro 16, prefazione del sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi).

Il volume affronta l'argomento da tutti i principali punti di vista: demografico ed economico, culturale e politico. Un problema demografico sicuramente esiste perché a un'Africa la cui popolazione cresce in modo esponenziale si contrappone un Occidente che fa sempre meno figli. L'immigrazione è la conseguenza di questa esplosione demografica non supportata da un ambiente di vita adeguato: nei Paesi di origine predominano guerre, disuguaglianze, mancanza di risorse. È un fenomeno senza precedenti, per quantità e qualità, non paragonabile a quello degli italiani che nel secolo scorso cercavano fortuna all'estero, partendo però già con la ragionevole speranza di trovare un'occupazione e anzi rispondendo spesso a specifiche richieste provenienti dai mercati dei Paesi di destinazione. Fra i miti che il libro contribuisce a sfatare c'è quello della convenienza economica dell'immigrazione: al contrario di quanto dicono i media mainstream non c'è un «consenso degli studiosi» sul fatto che l'immigrazione renda più innovativi, migliori il capitale sociale, renda più ricchi, produca un surplus fiscale tale da finanziare anche le nostre pensioni. Inconfutabili poi i dati sull'aumento della criminalità dovuta agli immigrati (altro che un semplice difetto di «percezione» come vorrebbero i maître-à-penser di certa sinistra!). Per non parlare del terrorismo connesso all'immigrazione dai Paesi islamici.

Il problema è però soprattutto culturale: negli ambienti progressisti e sui media c'è una vera idealizzazione dell'immigrato, visto come appartenente a una categoria e non nella sua specificità e concretezza di uomo.

Il fatto, scrive Scalea, è che «nel corso degli ultimi decenni, con l'evoluzione dell'ideologia marxista-leninista verso il post-comunismo o progressismo odierno, l'immigrato ha gradualmente preso il posto che fu del proletario».

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