Miguel Hernández, la poesia in bilico fra amore e guerra

Dagli iniziali influssi barocchi all'esaltazione del canto collettivo dei soldati in trincea

La commemorazione della nascita o della morte di un grande scrittore serve soprattutto a ricordare l'importanza della sua opera. Nel caso del poeta spagnolo Miguel Hernández, nato a Orihuela (Alicante) nel 1910, di cui il 28 marzo ricorre l'ottantesimo della morte, avvenuta in un carcere franchista, il tempo ha attenuato, se non sovvertito, le ragioni principali del grande consenso avuto dalla sua poesia, considerata un prodotto della partecipazione alla guerra civile.

Il suo primo libro, Perito en lunas (1933) denuncia, insieme all'influenza della tradizione barocca, il desiderio di riscatto dallo stato di prostrazione in cui vive da poeta pastore, come rivela una prosa di quegli anni: «Tutti i giorni elevo fino alla mia dignità gli escrementi delle stalle del gregge... Tutti i giorni elevo fino alla mia dignità le mammelle su cui mi chino per estrarre schiuma, pompe conduttrici di latte». Più avanti, dopo vari tentativi frustati, il poeta riesce a stabilirsi a Madrid, dove conosce Neruda e Aleixandre che lo proteggono e ai quali (soprattutto al primo) resta profondamente legato, come Neruda ricorda in Confesso che ho vissuto, e favorisce la sua conversione dal neocattolicesimo professato dall'amico Ramón Sijé allo spirito laico vicino alla politica culturale intrapresa dalla Repubblica. La seconda raccolta, El rayo que no cesa (1936) riunisce una serie di sonetti: tema fondamentale è il lamento d'amore che reclama una maggiore intimità fisica, negata dalla casta e timorata fidanzata, Josefina Manresa, una sartina di Orihuela, sua futura moglie, da cui il senso di un drammatismo vissuto come un'oscura minaccia. Poco dopo è lo scoppio della guerra civile, a cui il poeta partecipa come miliziano volontario, che fa di Hernández la voce più genuina e popolare della lotta antifranchista.

Fra i libri nati durante l'evento bellico si distingue Viento del pueblo (1937), una raccolta di canti, odi ed elegie, scritti nelle trincee tra il fragore dei fucili, il fumo degli spari e i bombardamenti; un'opera in cui l'attività del poeta si fonde con quella dello sposo, del padre e del militante politico. Sono composizioni che mostrano una dichiarata vocazione all'epica popolare, dove entrano frammenti autobiografici e intimisti, ma su tutto si impone una dichiarata volontà all'esaltazione della lotta e al canto collettivo. Il libro, con tutti i suoi eccessi celebrativi, l'apostrofe e i toni dell'invettiva contro il nemico, è poesia nata tra i soldati in trincea, negli improvvisati circoli culturali dell'esercito repubblicano; a volte sono versi scritti sui fogli e i bollettini ciclostilati inviati al fronte militare. Poesia che interpreta i drammi e le pene dei compagni combattenti, come rivendica apertamente la lirica Sentado sobre los muertos: «Canto con voce di lutto,/ popolo mio, per i tuoi eroi:/ le tue ansie come le mie;/ le tue sventure che hanno/ dello stesso metallo il pianto,/ e pene della stessa tempra».

Fin qui lo scrittore impegnato, voce genuina del popolo in armi contro il colpo di stato organizzato delle oligarchie militari. Con gli anni e l'impossibilità di prevalere nella lotta, la fede del combattente non viene meno, ma nel libro successivo, El hombre acecha, si avverte una coscienza più matura che guarda al dramma familiare, alla lontananza della moglie e alla morte del figlio Manuel Ramón. La nuova raccolta, a torto considerata una continuazione di Viento del pueblo, riserva uno spazio maggiore e più incisivo alla parte intimistica, motivata dalla violenza dello scontro e dall'amarezza per la sconfitta ormai vicina. Il verso registra toni lievi, subito trasformati in echi interiori che vanno al di là della cronaca e della narrazione dei fatti. Poco dopo, fra l'ottobre del 1938 e il settembre del 1939, nasce l'ultima straordinaria raccolta di versi, Cancionero y romancero de ausencias: un quaderno di 137 liriche che vanno dalla canción di breve durata al romance di più vasta estensione. Il poeta, libero da ogni influsso precedente, attenua l'atteggiamento apologetico a favore di una riflessione interiore, dove le uniche note di conforto sono rappresentate dalla moglie lontana e dal richiamo del figlio Manuel Ramón - morto a pochi mesi dalla nascita per le privazioni sofferte - e da quello del secondo figlio, Manuel Miguel, motivi che si sovrappongono alla vicenda dolorosa del combattente sconfitto.

Il Cancionero è l'insieme di struggenti frammenti di un diario la cui realtà sfuma continuamente: vi domina l'elemento privato e l'esperienza del difficile e doloroso periodo del poeta, chiuso in carcere dove vive spaventose condizioni di igiene e povertà, come denuncia una lettera alla moglie, datata 5 febbraio 1940: «Sono varie notti che i topi hanno preso l'abitudine di passeggiare sul mio corpo mentre dormo. L'altra notte mi sono svegliato e ne avevo uno vicino alla bocca. Questa mattina ne ho tirato fuori un altro dalla manica del golf, e tutti i giorni mi tolgo i loro escrementi dalla testa». E continua: «Vedendomi la testa cacata dai topi mi dico: quanto poco vale uno ormai! Persino i topi salgono ad insudiciare la terrazza dei pensieri... Ormai ho topi, pidocchi, pulci, cimici, rogna. Quest'angolo che ho per vivere diventerà presto un giardino zoologico, o meglio una casa di fiere».

Nascono ora i migliori versi della poesia di Hernández che accoglie e sviluppa motivi codificati dalla tradizione letteraria che però rispondono a una materia viva e palpitante, dettata dalla vicenda privata. È la profonda e straordinaria verità che emana la poesia del Cancionero, dove fame e mancanza di libertà sono motivi concreti e continui che aprono una profonda riflessione sull'uomo e gli ideali sconfitti. Il poeta canta l'amore per il corpo della donna, unico porto sicuro contro la violenza del mondo («Meno il tuo ventre/ tutto è oscuro/ meno il tuo ventre/ chiaro e profondo») e guarda con tenerezza alla nascita del figlio che alimenta la speranza di un domani migliore: a lui dedica la tenerissima Ninnananna della cipolla, motivata dalla lettera della moglie che lo informa di mangiare solo pane e cipolla.

Poesia personale e al contempo storia collettiva che torna a essere di grande ammonimento e attualità in questo periodo segnato della terribile guerra contro la popolazione inerme dell'Ucraina.

Recitano i versi di questa breve lirica del Cancionero: «Tristi guerre/ se non è d'amore l'impresa./ Tristi, tristi.// Tristi armi/ se non sono parole./ Tristi, tristi.// Tristi uomini/ se non muoiono d'amore./ Tristi, tristi».

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