Lo storico Nicola Tranfaglia è morto ieri all'età di 82 anni a Roma. L'annuncio della scomparsa è stato dato dalla Fondazione Paolo Muridi, di cui era presidente del comitato scientifico. Il professor Tranfaglia era stato ricoverato circa tre mesi fa nell'ospedale romano «Umberto I» in seguito a un'emorragia cerebrale da cui non si è più ripreso.
Di Nicola Tranfaglia (Napoli, 2 ottobre 1938-Torino, 23 luglio 2011), giornalista, docente universitario, militante politico rimarranno il saggio su Carlo Rosselli dall'interventismo a Giustizia e Libertà (Laterza) pubblicato 53 anni orsono e la raccolta di articoli Dallo stato liberale al regime fascista (Feltrinelli 1973). Su quei temi Tranfaglia è tornato ossessivamente per ripetere che la Nuova Italia sorse con un vizio di origine, il recondito fascismo e, più ancora, le collusioni tra potere pubblico e criminalità organizzata (molto scrisse sulla mafia), e tra Stato e Santa Sede, sino al neofascismo.
Borsista per tre anni alla Fondazione Luigi Einaudi di Torino negli anni della contestazione d'assalto, assistente del giacobino mite Alessandro Galante Garrone (1909-2003), libero docente, ordinario e preside della Facoltà di Lettere dell'Università di Torino, a lunghe falcate Tranfaglia accompagnò militanza partitica contro e una borghesissima produzione editoriale.
Erano gli anni durante i quali la Storia contemporanea era la clava nella lotta ideologica.
Tranfaglia la usò ripetutamente contro Renzo De Felice, ai suoi occhi reo di scrivere la storia vera dell' Italia durante il fascismo, anziché quella comoda per i tanti che volevano far dimenticare i loro trascorsi all'ombra di un regime autoritario ma non assoluto e, in definitiva, incardinato sulla monarchia.
Tra la Storia d'Italia curata da Ruggiero Romano e Corrado Vivanti per Einaudi, quella diretta da Giuseppe Galasso per la Utet e la Storia della società Italiana edita da Nicola Teti si insinuò Il mondo contemporaneo diretto da Nicola Tranfaglia per La Nuova Italia (1976-1983): dieci volumi in diciotto tomi. Una fatica immensa, monacale, durante la quale (mi confidò) per anni non vide né televisione né film. Era uno strumento per formare i docenti, nella visione un po' clericale che gli storici possano guidare la società. Allo scopo propugnò l'istituzione del corso di laurea in storia: una specialità senza sbocchi professionali quando dalla carta stampata era iniziata la transizione ad altri media.
Dalla passione per il giornalismo dei suoi anni giovanili nacque la direzione con Valerio Castronovo della corposa Storia della stampa italiana (Laterza), che scoprì quanto era noto sino da Gutenberg: l'intreccio tra proprietà e pubblico tramite la penna di scrittori famosi e di anonimi volenterosi scribacchini. Più accademica e meno influente fu l'altra opera collettanea diretta da Tranfaglia con Massimo Firpo per la Utet: La Storia. Ormai un arredo più che uno strumento di lavoro.
Fu peregrino anche il suo iter partitico. Eletto deputato per i Democratici di sinistra, Tranfaglia lasciò polemicamente il partito con una lettera al segretario Piero Fassino, torinese. Forte di pagine velenose contro Giulio Andreotti e sulla «resistibile ascesa di Silvio B.
» (in cui anticipò tanti spunti dell'attuale direttore di Il Fatto quotidiano), dopo varie candidature e vicende obliabili nel 2008 lasciò anche il Partito di Rifondazione comunista dopo quattro anni di fervorosa militanza. Tornò a occuparsi di Carlo Rosselli, un liberal-socialista sicuramente anticomunista?
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