"Nuvole" di colore e jazz (per parlare della vita)

Diversi linguaggi mischiati senza artifici digitali

Cosa sono le nuvole? Così domandavano i personaggi di Pasolini nel documentario dove attori - marionette riflettevano con amara ironia sul rapporto tra essere e apparire, tra terra e cielo.
Da questa poesia su pellicola degli anni '70 nasce l'idea di Nuvole, spettacolo disegnato e musicato all'improvviso da un gruppo di giovani artisti, eccellenti nella formazione musicale, rigorosi nella tecnica e incontenibili nel ritmo convulso della loro arte. Loro sono Michele Bernabei, Stefano Giorgi, Lucio Villani e Carlo Cicero in scena, in anteprima, al Teatro della Caduta di Torino il 18 dicembre 2012. Qui un piccolo spazio scenico, di antico sapore da teatro d'avanguardia, ospita il pubblico disposto in varie parti della sala, comodamente seduto a piccoli tavolini circolari, come se fosse in un convivio d'altri tempi.
Al centro dell'azione uno schermo su cui vengono proiettati dei disegni, improvvisando le forme, i colori, e le sagome che ne nascono. Sono immagini realizzate con acqua, pennelli e dita; nessun artificio camuffa l'arte di Stefano Giorgi, l'artista delle immagini che, attraverso un flusso di forme e metamorfosi geometriche puntate sullo schermo, realizza un vero e proprio film d'animazione senza parole. L'espressione di queste linee cromatiche senza confini logici è data però dal flusso della musica che incalza e puntella le forme. Sono i due musicisti, Michele Bernabei, trombettista, e Lucio Villani, contrabbassista, a «parlare» con le immagini, ad accompagnarne la trasformazione e la dissolvenza, esaltandone la fisicità inconsistente. Ma la musica non si ferma alla patina cromatica, va oltre, diventa voce, dialogo e canto, quasi a cappella. Così, nella commistione dei diversi linguaggi artistici, lo spettatore entra nella «tela» digitale con un corpo a corpo che fa dimenticare le dimensioni, quasi anguste, dello spazio reale.

Queste sono le nuvole, sembrano glossare le curve musicali d'improvvisazione jazz, sono cioè forme senza peso che alludono alla leggerezza del cielo, al flusso degli affetti che non possono avere una morfologia precisa. Le nuvole cambiano, si trasformano, portandosi via anche l'amore, consegnato all'irragionevolezza del cielo.

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