Olive Kitteridge, la dura epopea di una donna che si è fatta da sé

È ambientata nel New England la miniserie tv tratta dal romanzo culto di Elizabeth Strout. Presentata fuori concorso al Lido, arriverà su Sky

na scena della miniserie tv "Olive Kitteridge"
na scena della miniserie tv "Olive Kitteridge"

da Venezia

A Crosby, nel New England, lì dove gli Stati Uniti vennero tenuti a battesimo, sono aumentati i divorzi, ma non è diminuita l'infelicità. Un tempo i matrimoni tenevano nonostante tutto, ma le nuove generazioni non si rassegnano a ripetere «l'errore» dei loro vecchi e così sfasciano coppie appena formatesi e incessantemente ci riprovano. Del resto, la società è lì per questo: analisti e terapisti, gruppi di sostegno e un'etica più flessibile, ovvero famiglie «allargate», magari genitori dello stesso sesso e nonne da rieducare imponendo loro di chiedere scusa al nipotino tirato su senza restrizioni, e quindi maleducato, a cui hanno dato uno scappellotto.

Il New England è quello dei dipinti di Edward Hopper, mare, coste, natura e solitudine, interni di case dove si parla poco, interni di bar e stanze d'albergo dove per compagnia si ha solo se stessi e un bourbon con ghiaccio. È stata la terra dei pionieri e insieme una terra colta e puritana, dove è vietato lamentarsi, ci si spezza, magari, ma non ci si piega, e davanti agli altri non si piange mai. Questa è l'educazione ricevuta da Olive Kitteridge e grazie alla quale è riuscita a superare, ancora bambina, un suicidio in famiglia, quello di suo padre; convivere con la depressione che la rende amara e la fa sentire in credito con il resto del mondo; preferire la quieta dannazione domestica all'idea allettante di una relazione clandestina che sa benissimo non aver alcun futuro.

È una professoressa di matematica, Olive, abituata a ragionare, brava a insegnare, abile, conoscendo i demoni che la divorano dall'interno, a capire i drammi delle psicologie altrui e, se è il caso, a cercare di alleviarli. Non è una crocerossina, né ha quell'insopportabile, per lei, ottimismo del marito, sempre pronto ad accorrere in aiuto del più debole, o di chi si presenta come tale. No, lei è più rude, più schietta, più brutale, se si vuole. E però più pratica, chirurgica quasi.

Ormai anziana, Olive si ritrova sola. Le è morto il marito, dopo un ictus e quattro lunghi anni di sofferenza, e solo ora riesce ad avvertire il vuoto che le ha lasciato e l'amore che è stato alla base della loro unione. Con il figlio i rapporti non sono buoni, ma lei sa che ogni analista da strapazzo sostiene che è colpa di una madre se il proprio ragazzo diventa un uomo infelice e problematico. In città conosce tutti, ma è come se non conoscesse più nessuno, tanto i costumi sono cambiati e con essi il tessuto sociale. A chi le chiede cosa pensi di fare nel prossimo futuro, risponde: «Aspettare che mi muoia il cane, seppellirlo e poi spararmi un colpo». Eppure, quando è primavera e la natura si risveglia, Olive sente che quell'incanto vale ancora la pena d'essere vissuto. Inoltre è appena diventata nonna...

Tratto dall'omonimo romanzo di Elizabeth Strout, Olive Kitteridge , presentato ieri fuori concorso, è la miniserie televisiva destinata a sbancare gli ascolti negli Stati Uniti il prossimo autunno e in Italia il prossimo anno (su Sky Cinema a partire da gennaio). Diretta da Lisa Cholodenko, si avvale di un duo d'eccezione: Frances McDormand, già premio Oscar per Fargo e premiata qui a Venezia, per l'occasione, con il «Persol Tribute to Visionary Talent», e Richard Jenkins ( The Visitor , Killing me Softly , Sea of Love ). Fra i produttori, oltre la stessa McDormand, c'è Tom Hanks; direttore della fotografia è Frederic Helmes ( Synecdoche , New York ), la scenografia è di Julie Berghoff. Perfetto nella ricostruzione di un'epoca, venticinque anni di storia americana fra i Settanta e l'inizio del nuovo secolo, Olive Kitteridge spalma su quattro ore di proiezione l'esistenza di una donna e della comunità in cui vive.

«È uno dei lussi che la tv ti permette - dice Frances McDormand - e arrivata a 57 anni mi sembrava giusto raccontare per esteso una psicologia femminile. Olive è una sorta di filo conduttore che tiene insieme le tante storie di cui si componeva il romanzo. Ci ho messo dentro tutta me stessa».

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