Il pane è cultura E ogni civiltà se n'è fatta una scorpacciata

La domanda da cento milioni è: ma chi ha inventato il pane? Infatti, non cresce sugli alberi (a parte quel famoso «albero del pane» caraibico che provocò l'ammutinamento del Bounty), ma richiede una lavorazione complessa. Eppure, la sua origine si perde nella notte dei tempi e la sua diffusione è da sempre stata così estesa da convincere Cristo a utilizzarlo per la transustanziazione, sicuro che nessun popolo ne sarebbe rimasto privo. A indagare sul pane ha pensato lo studioso Giancarlo Roggero (Il mistero del pane. Dalla lotta per l'esistenza alla sua consacrazione, Estrella de Oriente, info@estrelladeoriente.it, pagg. 215, euro 22), informandoci che le notizie più antiche sul pane vengono dal solito Egitto, Antico Regno, terzo millennio a.C. I greci chiamavano gli egizi artophágoi, «mangiatori di pane». E furono proprio gli egizi a insegnare al mondo antico l'arte del panificare. Chiamavano se stessi kemit, «figli di kemi», laddove kemi era la «terra nera» che le piene del Nilo lasciavano al loro ritirarsi. Il greco Erodoto raccontava come mai l'Egitto era considerato il «granaio del mondo»: gli egizi seminavano direttamente sul kemi, poi vi lasciavano liberi i maiali. Questi, calpestandoli, facevano penetrare i semi nella fertilissima terra. Non restava, poi, che provvedere al raccolto. Ed erano sempre i maiali a battere il grano con le zampe, dopodiché lo si poteva riporre. Saranno poi i Romani a diffondere (ma non a inventare) la variante «duro» del grano. La descrizione minuta dei vari cereali atti a diventare pane la farà il naturalista Plinio il Vecchio. Del medesimo mistero fa parte l'uso dei lievito, anche se il pane lievitato era appannaggio dei soli ricchi.
Importata, la tecnica, dai greci, per loro divenne maza (da mássein, impastare) e, da buon mistero, finì nei misteri per eccellenza, quelli di Eleusi. I Romani avevano tra le corporazioni più potenti quella dei pistores (che «pestavano» il grano) e pistrinum era la panetteria. Le frumentationes con cui i politici tenevano buona la plebe urbana erano, appunto, periodiche distribuzioni di grano. Che divennero di pane vero e proprio (due volte al giorno) sotto Aureliano nel III secolo. L'indagine di Roggero si sofferma in particolare sul mistero dei misteri, quello che non a caso nasce a Betlemme (Betlehem: «casa del pane») e sulla straordinaria frequenza del pane nella vicenda storica (ma anche meta-storica) di Cristo, fin dalla tentazione, superata, di trarlo dalle pietre. Ma la stessa Bibbia non è avara di pane.

Ecco ad esempio la maledizione di Adamo: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane» (Gen 3,19).
Infine, Gesù definisce se stesso «il vero pane disceso dal cielo», e qui si entra nei secoli cristiani. Che sono costellati di miracoli eucaristici: ostie di pane che diventano vera carne umana.

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