Parole (e poesia) di Mogol che raccontano l'Italia

Nel volume curato da Clemente Mimun i testi che hanno fatto storia. Mollica: "I suoi versi sono di tutti"

Parole (e poesia) di Mogol che raccontano l'Italia

Chiamatela, se volete, sinfonia. Una sinfonia di sessanta canzoni, tutte scritte da Giulio Rapetti Mogol e ormai entrate nella coscienza collettiva oltre che, di diritto, nella cultura popolare. In Mogol, oltre le parole (edizioni Minerva) ci sono i testi e tutto il resto, ossia l'analisi delle parole, dei retroscena, dei contesti storici o ambientali che hanno acceso l'ispirazione.

A dirla tutta, è una antologia praticamente ad uso scolastico perché i testi di Mogol, a furor di popolo, sono diventati un manuale per comprendere gli ultimi sessant'anni di vita italiana. A selezionare il repertorio di questo autore da Guinness dei Primati (nessuno al mondo ha avuto così tanti primi posti in classifica) è stato il direttore del Tg5 Clemente Mimun con la giornalista Vittoria Frontini. Selezione peraltro complicatissima perché questo poeta della canzone ha firmato così tanti brani celebri che è impossibile elencarli tutti. E difatti non ci sono Perdono (per Caterina Caselli), Che colpa abbiamo noi (The Rokes), A chi (Fausto Leali) e decine di altri che, magari senza che il grande pubblico lo sappia, hanno il marchio Mogol. Perciò queste 270 pagine sono un distillato di parole decisive, di testi che fanno parte di ciascuno di noi. Da Al di là del 1961, interpretato da Luciano Tajoli, a Rinascimento del 2011 cantata da Gianni Morandi con le musiche del gigantesco Gianni Bella. «Ogni canzone firmata da Mogol porta un riverbero della sua vita», scrive Vincenzo Mollica nella prefazione. Ed è assolutamente vero. «Ho iniziato a scrivere canzoni per guadagnare l'equivalente di 2,50 euro, ossia circa 5000 lire», racconta Mogol a Clemente Mimun prima di addentrarsi nella spiegazione di ciascuno dei sessanta brani. Sfogliando le pagine, si sentono le melodie. «Seduto in quel caffè...». «Ti stai sbagliando, chi hai visto non è, non è Francesca». La forza di quest'uomo ormai 85enne è sempre stata quella di attingere alla vita vera, personale oppure no, restando lontano dalle pesanti congetture intellettuali o dalle vaporose sbandate modaiole. Ad esempio I giardini di marzo del 1972, autentico capolavoro, è una miscela di ricordi personali («Mia mamma aveva pochi vestiti tra i quali ce n'era uno nero con i fiori non ancora appassiti che indossava sempre») ma anche di fantasia: «Ho aggiunto una parte che mi sono inventato: quella in cui la mia ipotetica compagna, confessandomi di essere interessata a un altro uomo, chiede il mio aiuto per rinsavire». Ed è qui che arriva il verso «Continuai a camminare lasciandoti attrice di ieri».

Insomma, in questa «Mogol-antologia» c'è una miniera di racconti che sono i nostri racconti, spiegano le nostre famiglie e le nostre origini, al netto di qualsiasi convinzione politica o religiosa. Mogol è, probabilmente, l'autore che sopravviverà più a lungo proprio perché non ha vincoli ideologici e quindi non può essere travolto dall'evoluzione. «I suoi versi sono di tutti» scrive Mollica annientando in una sola frase quella stucchevole polemica su Mogol e Battisti legati alla destra e quindi «presi con le pinze» da intellettuali e autori di sinistra. Un luogo comune così duraturo che soltanto quest'anno il Premio Tenco ha deciso di premiare il più grande e popolare autore di canzoni di musica leggera italiana. Dopo 60 anni di carriera! «Davvero non pensavo di poter prendere un premio dal Club Tenco perché hanno sempre avuto una valutazione diversa. Ma mi hanno spiegato che si sono ricreduti, si sono accorti che facevano ostracismo, anche nei nostri confronti. Hanno usato proprio questa parola, ostracismo», ha spiegato Mogol a Repubblica. Ostracismo, capito?

Questo volume conferma quanto fosse immotivato. L'amore, ecco, è al centro della scrittura di Mogol. E la vita quotidiana. E la ricerca di parole nuove o inusuali come, ad esempio «uggiosa». Quando fu presentato alla casa discografica il disco Una giornata uggiosa (l'ultimo della collaborazione con Battisti), molti non erano d'accordo con il titolo perché «uggiosa nessuno sa cosa voglia dire». Ora lo sanno tutti.

E tutti usano immagini o vocaboli che Giulio Rapetti Mogol ha inserito nei propri testi. Ad esempio «lo scopriremo solo vivendo» da Con il nastro rosa del 1980 per Battisti. Oppure L'emozione non ha voce del 1999 per Adriano Celentano.

Oppure Il mio canto libero, Io vorrei, non vorrei ma se vuoi o ancora Una donna per amico. Alla fine questo volume è un tesoretto della nostra memoria e ciascuno ci potrà trovare dentro una parte di sé. Come capita soltanto con i veri poeti.

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